11 Settembre 2023

La violazione della doppia imposizione post adesione al pvc

di Gianfranco Antico
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La scheda di FISCOPRATICO

Come noto, l’articolo 83, comma 18, D.L. 112/2008, ha inserito nel D.Lgs. 218/1997 l’articolo 5-bis, titolato “Adesione ai verbali di constatazione”, al fine di definire le violazioni contenute in processi verbali di constatazione che riguardano le imposte dirette e l’Iva e che consentono l’emissione di accertamenti parziali previsti dall’articolo 41-bis D.P.R. 600/1973 e dall’articolo 54, comma 4, D.P.R. 633/1972.

La citata norma, è stata successivamente abrogata dall’articolo 1, comma 637, lett. c), n. 2, L. 190/2014 (con decorrenza dal 1° gennaio 2015): tuttavia, la norma in commento continua a “far parlare di sé” per via delle implicazioni giurisprudenziali, nonostante lo scopo dichiarato era quello di chiudere integralmente il pvc, atteso che l’accettazione integrale del pvc non permetteva “ripensamenti” successivi né dava diritto a richiedere successivamente perdite pregresse non computate, né ad avere rimborsi – per annualità precedenti o successive – per l’eventuale accettazione dei rilievi.

Infatti, come opportunamente sottolineato dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 55/E/2008, la collocazione nel corpus normativo del D.Lgs. 218/1997 sancisce la precisa appartenenza al genus dell’accertamento mediante adesione del contribuente. Tale appartenenza ha come immediata e rilevante conseguenza l’estensione alla definizione ex articolo 5-bis di tutti gli effetti che il D.Lgs. 218/1997 collega alla ordinaria definizione dell’accertamento parziale, in materia di imposte sui redditi e di Iva.

In questo contesto si colloca l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 17068/2023, avente ad oggetto l’impugnativa del provvedimento di diniego sull’istanza di rimborso di quanto versato a titolo di Ires e Irap per la mancata deduzione di costi, recuperati a tassazione dall’Amministrazione finanziaria con riferimento all’anno di imposta 2007 ed imputati dal contribuente come sopravvenienze attive con riferimento all’anno di imposta 2008. La Corte prende le mosse dal dettato normativo di riferimento – articolo 2, comma 3 e articolo 3, comma 4, D.Lgs. 218/1997 – per confermare che l’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile e non è modificabile dall’Ufficio. Tant’è che la stessa Corte di Cassazione richiama:

  • l’ordinanza n. 13129/2018, che ha escluso la possibilità di proporre istanza di rimborso di quanto ad avviso del contribuente versato in eccedenza per un errore che avrebbe viziato la sua adesione, salvo che non vi sia corrispondenza tra gli importi contenuti nell’atto di adesione e quelli indicati nel pvc, e;
  • l’ordinanza n. 29036/2021, dove è stato affermato che “lo strumento della tutela giudiziaria è utilizzabile solo nel caso in cui il contribuente ravvisi degli errori in fase di liquidazione del tributo da parte dell’amministrazione finanziaria, avendo questa non correttamente determinato una maggiore imposta dovuta in base alle risultanze del processo verbale di constatazione, posto che, solo in tali circostanze, escludere un’autonoma impugnazione dell’atto di definizione significherebbe impedire al contribuente di far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale, con l’effetto che, pur in presenza di errori da parte dell’Ufficio, si vedrebbe cristallizzata, senza alcuna possibilità̀ di tutela, una pretesa erariale non legittima”.

Gli Ermellini, nel caso di cui all’ordinanza n. 17068/2023, prendono atto che l’istanza di rimborso ha riguardato errori nell’indicazione delle violazioni sostanziali riportate nel pvc e poi trasfuse nell’atto di definizione. “Nella specie, infatti, nel recuperare a tassazione, perché privi di certezza, i costi dedotti dalla contribuente nell’anno 2007, i verificatori nel pvc, cui la contribuente prestava adesione ai sensi dell’articolo 5-bis D.Lgs. 218/1997, davano atto che gli stessi costi venivano computati come sopravvenienze attive nel 2008, con l’effetto di posticipare il pagamento delle relative imposte dal 2007 al 2008, in cui vi era una aliquota Ires più favorevole”. Di conseguenza, secondo la Corte, le parti hanno concordato circa l’esercizio della corretta imputazione dei costi ed il recupero a tassazione dei relativi importi e proprio sulla base dell’adesione al pvc, “l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto riconoscere il rimborso, non solo – come ha fatto – delle somme pagate in eccesso per i costi “non di competenza” dell’anno 2008 e riferibili al 2007 (Cassazione n. 2420/2021), ma anche di quelle relative alle sopravvenienze attive indicate nel reddito imponibile del 2008 e corrispondenti ai costi privi di certezza, dedotti nel 2007 e recuperati a tassazione”. Non essendo contestato che la società abbia aderito all’accertamento per l’anno 2007, in cui venivano recuperati a tassazione i costi privi del requisito della certezza ed ai quali corrispondevano le sopravvenienze attive dell’anno 2008, per la Corte la doppia imposizione risulta essere un fatto evidente, che collide con il divieto (principio) generale di cui all’articolo 163, Tuir, sicchè il pagamento avvenuto in seguito all’adesione per il 2007 trasforma quello effettuato per il 2008 in un indebito oggettivo (in un caso in parte simile, si rinvia alla  Cassazione n. 7438/2021).

Si segnala, comunque, che gli stessi giudici di Piazza Cavour – ordinanza n. 9322/2023 – per un caso di conciliazione giudiziale, hanno ritenuto che la natura della conciliazione è tale per cui l’originaria pretesa tributaria è sostituita dalla nuova somma concordata dalle parti, e quindi non vi può essere violazione del divieto di doppia imposizione fiscale, atteso che le parti hanno congiuntamente raggiunto l’accordo, che ha estinto la pregressa pretesa e, conseguentemente, mutato (novato) l’originaria prestazione tributaria.

Nel caso specifico, una società presentava all’Agenzia delle Entrate istanza di rimborso Ires ed Irap, per le annualità 2004, 2005, 2006, assumendo di aver versato in duplice misura i tributi dovuti per le medesime fattispecie, una prima volta nel periodo d’imposta ritenuto di competenza, una seconda volta come conseguenza dell’accertamento dell’Erario (nello specifico, alla società erano stati notificati degli atti impositivi, in relazione ad IRES ed IRAP, con i quali si recuperavano a tassazione i ricavi dichiarati dalla contribuente nell’esercizio successivo a quello ritenuto di competenza da parte dell’Agenzia delle entrate, nonché determinate voci di costo ritenute inerenti o di competenza dell’esercizio precedente rispetto a quello in cui erano state computate, atti tutti definiti in conciliazione). Per la Corte, la ricorrente ben avrebbe potuto contestare in sede di conciliazione le determinazioni dell’Ufficio laddove, invece, ha provveduto alla sottoscrizione del verbale di conciliazione, così che “sul piano teorico, non c’è violazione del divieto di doppia imposizione fiscale”. Nel caso di specie, “la sopravvenuta definitività del verbale di conciliazione preclude la disamina della violazione del detto divieto, come si evince dall’operato del giudice di seconde cure; nel verbale di conciliazione, la pretesa tributaria è stata rettificata e l’imposta dovuta rideterminata, cosicché l’odierna ricorrente avrebbe avuto lo spazio necessario per richiedere le rettifiche che le apparivano più opportune prima della sottoscrizione, con cui l’obbligazione tributaria si è modificata, essendosi estinta e poi rinnovata in via definitiva”.