23 Ottobre 2018

La successione necessaria

di Sergio Pellegrino
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Dopo aver affrontato nei precedenti contributi la successione testamentaria e quella legittima, soffermiamoci sulla successione necessaria, che è funzionale a tutelare i familiari più prossimi del de cuius, che, anche contro la volontà di questi, hanno diritto a ricevere parte del patrimonio.

A coniuge e figli e, in mancanza di figli e loro discendenti, agli ascendenti, l’ordinamento riserva infatti inderogabilmente una quota del patrimonio del congiunto deceduto, variabile a seconda della “qualità” e “quantità” di legittimari presenti al momento dell’apertura della successione:

La quota di legittima deve essere calcolata sul valore del patrimonio del de cuius esistente al momento del suo decesso, tenendo però conto anche delle donazioni da questi effettuate in vita.

Per procedere alla quantificazione bisogna innanzitutto determinare il c.d. relictum, ossia il valore dei beni caduti in successione, includendo i beni che hanno formato oggetto di legati di specie e i crediti, mentre non devono essere considerati i diritti originari acquistati dagli eredi in occasione della morte del loro congiunto, così come quelli con durata commisurata alla vita del titolare, e da questo sottrarre i debiti ereditari.

Al relictum deve essere quindi sommato il c.d. donatum, per tenere conto di ciò che è stato donato in vita dal defunto sulla base del valore al tempo dell’apertura della successione.

Questa operazione si definisce riunione fittizia del donatum al relictum, perché si tratta di una semplice operazione contabile ed è finalizzata esclusivamente a ricostruire l’intero patrimonio del defunto per determinare l’ammontare della quota disponibile e, per differenza, quella della quota di riserva.

Riguarda tutte le donazioni fatte in vita dal defunto a qualsiasi donatario, ma non influisce in alcun modo sulla situazione giuridica dei beni donati, che potranno essere conseguiti dal legittimario solo attraverso l’azione di riduzione.

I discendenti e il coniuge del de cuius sono inoltre soggetti all’istituto della collazione, disciplinato dall’articolo 737 cod. civ., che ha la funzione di neutralizzare le donazioni fatte in vita dal defunto a loro favore, considerandole alla stregua di anticipazioni rispetto alla futura successione ed eliminando così le disparità fra le diverse posizioni.

Se discendenti e coniuge accettano l’eredità, devono obbligatoriamente conferire nell’asse ereditario quanto ricevuto dal defunto in donazione: il donante può dispensare il donatario dalla collazione nei limiti però di quella che è la quota disponibile.

La collazione è obbligatoria, ma soltanto in caso di accettazione dell’eredità, di modo che qualora il valore del bene ricevuto in donazione sia superiore alla quota di eredità, vi sarà la convenienza a non accettare l’eredità sottraendosi così alla collazione.

La collazione può avvenire in natura e quindi il bene donato non appartiene più al solo donatario, ma viene a far parte della massa ereditaria, divenendo oggetto di comproprietà fra i coeredi, ovvero per imputazione, e in questo caso il valore dei beni ricevuti in donazione viene computato nella quota dell’erede donatario, consentendo agli altri coeredi di disporre di una quantità di beni di corrispondente valore.

A differenza della riunione fittizia del relictum e del donatum, dunque, la collazione, che riguarda però soltanto i donatari più prossimi al defunto, determina un incremento effettivo della massa ereditaria da dividere fra i coeredi.

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