6 Marzo 2017

La controversa questione della residenza fiscale delle società

di Fabio Landuzzi
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Come abbiamo già avuto modo di commentare in precedenti contributi, il recente documento di Assonime della collana Note e Studi n. 17/2016 evidenzia come nella pratica si osservino talvolta fenomeni accertativi nei confronti di entità estere che svolgono parte della loro attività nel territorio italiano, sulla base di presunti indizi che, a parere dei verificatori, potrebbero innescare presupposti di configurazione di stabili organizzazioni occulte in Italia, oppure fattispecie in cui l’entità legale estera viene riqualificata come residente fiscalmente in Italia. In modo speculare, poi, si assiste a casi in cui imprese estere appartenenti a gruppi residenti vengano invece considerate come residenti in Italia, in forza di una loro presunta sede di direzione ivi ubicata.

In questo contesto, occorre in primo luogo rifarsi al disposto normativo contenuto al comma 3 dell’articolo 73 del Tuir, il quale considera residenti in Italia le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la “sede legale” o la “sede dell’amministrazione” o “l’oggetto principale” nel territorio dello Stato.

Quanto alla nozione di “sede dell’amministrazione” un utile riferimento è stato fornito dalla sentenza della Cassazione, sez. penale, n. 7080/2012: si tratta del luogo da cui provengono effettivamente quelli che la Cassazione definisce gli “impulsi volitivi inerenti l’attività societaria”, ovvero il luogo in cui si realizza lo svolgimento concreto delle “attività amministrative e di direzione dell’ente”. Un concetto che gli interpreti hanno colto come essere molto vicino alla nozione di “sede dell’attività economica” di estrazione comunitaria da intendersi come quel luogo in cui sono adottate le “decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società”.

In ambito Ocse, questa nozione va sotto il termine di “place of effective management” inteso come il luogo in cui sono assunte le decisioni chiave della gestione sociale.

Tutto ciò, però, non deve assolutamente fuorviare portando a conclusioni che sarebbero del tutto erronee; ovverosia, non ha rilevanza, ai fini dell’identificazione della residenza fiscale delle società, il luogo dove si ha una mera gestazione delle decisioni sociali, ad esempio dove i soci o gli amministratori formano le linee strategiche della direzione. Altrimenti, come evidenziato dalla Cassazione, sez. penale, n. 43809/2015, si creerebbero situazioni del tutto irrealistiche per tutte le società appartenenti a gruppi o comunque soggette al controllo di altre imprese non residenti. A questo fine, il controllo, la direzione ed il coordinamento, restano pertanto fenomeni del tutto fisiologici ed avulsi dal tema della residenza fiscale dell’ente “eterodiretto”.

Il punto dolente, come evidenzia Assonime nel proprio documento, è che malgrado la giurisprudenza della Cassazione abbia più volte evidenziato la necessità di distinguere il luogo in cui si pone l’attività di direzione e coordinamento della società con quello di c.d. “direzione effettiva” della stessa, nel caso dei gruppi di imprese, a causa di fisiologici fenomeni di integrazione e condivisione di funzioni, si finisce con creare un concreto rischio di sovrapposizione e confusione fra queste definizioni. Una circostanza a cui sono peraltro particolarmente esposte proprio le società holding.

Come detto, bisogna allontanarsi dal rischio di poter intravvedere in ogni consociata di una multinazionale un’entità potenzialmente residente nello Stato in cui si trova la sua capogruppo: una visione aberrante e chiaramente distorsiva della realtà economica sottostante.

Questa è una delle ragioni per cui nell’ambito Ocse dei progetti BEPS si è proposto di eliminare dall’articolo 4 del Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni proprio il criterio della “sede di direzione effettiva, poiché gli attuali modelli organizzativi delle imprese multinazionali prevedono normalmente un potere diretto della capogruppo di indirizzo strategico che nulla però ha a che vedere con la residenza fiscale dell’entità sottoposta al controllo.

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