5 Luglio 2023

Incasso giuridico: la Corte di Cassazione cambia orientamento

di Stefano Rossetti
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La scheda di FISCOPRATICO

Per molti anni la Corte di Cassazione è stata ferma nel riconoscere la legittimità dell’incasso giuridico; tuttavia, recentemente, con la sentenza n. 16595/2023 i giudici di legittimità hanno mutato orientamento.

L’incasso giuridico è una fictio iuris, di matrice antielusiva, secondo cui la rinuncia ad un credito correlato a redditi tassati per cassa presuppone l’avvenuto incasso del credito e quindi l’obbligo di sottoporre a tassazione il relativo ammontare anche mediante applicazione di una ritenuta di imposta.

Tale principio è stato fatto proprio dall’Amministrazione finanziaria con la circolare 73/1994 e successivamente ribadito con la risoluzione 124/E/2017.

In sostanza, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, i redditi tassati secondo il principio di cassa permettono ai contribuenti di tenere condotte elusive volte a generare dei salti d’imposta inammissibili nel nostro ordinamento tributario.

Ciò avverrebbe ogniqualvolta un contribuente rinuncia ad un credito il cui incasso avrebbe generato un reddito tassato secondo il principio di cassa.

In casi come questi l’Amministrazione finanziaria equipara l’atto dispositivo del credito (la rinuncia o più propriamente la remissione del debito ai sensi dell’articolo 1236 del codice civile) all’incasso dello stesso.

La tesi erariale si fonda sulla finzione in base alla quale disporre del diritto di credito rinunciandovi significa disporre in via mediata del reddito che quel credito rappresenta.

Ciò in considerazione del fatto che se il contribuente avesse incassato il credito e successivamente disposto della somma si sarebbe generato il presupposto impositivo.

 Le principali casistiche a cui viene applicato il principio dell’incasso giuridico riguardano:

  • i compensi amministratori e il trattamento di fine mandato imponibili ai sensi dell’articolo 50 Tuir (ovvero articolo 53 Tuir in caso di amministratore professionista);
  • agli interessi attivi su finanziamento da parte dei soci persone fisiche (articolo 44 Tuir);
  • i dividendi percepiti sia da persone fisiche (articolo 44 Tuir) sia da persone giuridiche (articolo 89 Tuir).

La tesi dell’incasso giuridico è stata criticata in dottrina in quanto si porrebbe in palese contrasto con i principi generali dell’ordinamento tributario (vedasi in particolare circolare AIDC n. 208/2018). In particolare, essa violerebbe i principi costituzionalmente sanciti della riserva di legge e della capacità contributiva.

Inoltre, in dottrina è stato osservato che la tesi dell’incasso giuridico, oltre a non rispettare i principi di carattere costituzionale, si pone in contrasto anche con il dato letterale delle norme di diritto sostanziale contenute nel Tuir, infatti il legislatore, a titolo esemplificativo, ha previsto che:

debbano essere “percepiti” per essere assoggettati ad imposizione, mentre come abbiamo visto, in caso di rinuncia al credito il percepimento del reddito non si verifica.

Nonostante le argomentazioni addotte dalla dottrina, la giurisprudenza di legittimità, in linea generale, ha sposato la tesi erariale (per tutte si veda la sentenza n. 2057/2020).

Recentemente la Corte di Cassazione, come detto, ha cambiato orientamento (da vedere se si tratta di una pronuncia isolata oppure la prima di un nuovo filone).

I giudici di legittimità con la sentenza n. 16595/2023 hanno affermato il seguente principio di diritto “in tema di imposte sui redditi di capitale – in ragione di quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-bis, 94, comma 6, 101, comma 5, Tuir a seguito delle modifiche di cui all’articolo 13 legge 14 settembre 2015, n. 147 – la rinuncia, operata da un socio nei confronti della società, al credito avente ad oggetto interessi maturati su finanziamenti erogati nei confronti di una società partecipata, non comporta l’obbligo di sottoporne a tassazione il relativo ammontare, con applicazione, ai sensi dell’articolo 26, quinto comma, del DPR n. 600 del 1973, della ritenuta fiscale, cui la società è tenuta quale sostituto d’imposta, avendo le nuove disposizioni rimediato all’asimmetria fiscale o “salto d’imposta” di cui al precedente regime”.

Ad avviso della corte di Cassazione la teoria dell’incasso giuridico non può essere applicata successivamente alle modifiche apportate dall’articolo 13 D.Lgs. 147/2015.

Nello specifico, con l’intervento sopra citato, il trattamento della rinuncia del socio non trova più collocazione nell’articolo 88, comma 4, Tuir, ma nel successivo comma 4-bis il quale prevede, nel testo applicabile alla fattispecie, che la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva solo per la parte che eccede il relativo valore fiscale.

Inoltre, il nuovo testo impone al socio di comunicare il valore del credito alla partecipata mediante apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio; in assenza di comunicazione, il valore assunto è pari a zero, con conseguente tassazione dell’intera rinuncia, fiscalmente qualificata come sopravvenienza attiva.

Parallelamente, gli articoli 94, comma 6, e 101, comma 7, Tuir hanno previsto, sul versante del socio, che:

  • l’ammontare della rinuncia al credito che si aggiunge al costo della partecipazione avviene nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia;
  • la rinuncia non è ammessa in deduzione;
  • l’importo oggetto di rinuncia si aggiunge al costo della partecipazione sempre nei limiti del valore fiscalmente riconosciuto del credito.

Il nuovo regime, pertanto, ha posto in correlazione il valore fiscale del credito oggetto di rinuncia e la detassazione. A seguito della rinuncia, dunque, il socio aumenta il costo della partecipazione solo nei limiti del valore fiscale del credito e la società beneficia di una sopravvenienza non tassabile solo nei limiti di detto valore.

Pertanto, secondo i giudici di legittimità, la rinuncia di un credito avente valore fiscale pari a zero, come per i crediti legati ad un reddito tassato per cassa:

  • non incrementa il valore fiscale della partecipazione, diversamente da quanto prospettato nel precedente regime sia dalla Agenzia delle Entrate sia dalla stessa Corte;
  • comporta la tassazione integrale della sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata.