21 Ottobre 2015

Il trust per realizzare un’opera beneficia o di interesse pubblico

di Sergio Pellegrino
Scarica in PDF

Il trust può venire utilizzato per realizzare un’opera benefica o di interesse pubblico per avere la certezza di un efficiente utilizzo delle risorse messe a disposizione dal “mecenate” e dell’effettiva attuazione del programma che questi ha definito.


 

Nel nostro Paese, a differenza di quanto avviene ad esempio nel mondo anglosassione, il mecenatismo è un fenomeno decisamente poco diffuso: incidono forse motivazioni di carattere culturale, ma anche una certa diffidenza circa l’effettivo utilizzo da parte dei soggetti ai quali le risorse dovrebbero essere affidate, in special modo se essi sono pubblici, per la realizzazione delle opere che stanno “a cuore” di chi deve mettere mano al proprio portafoglio.

Anche in un ambito di questo tipo, il trust può rappresentare una soluzione efficiente per garantire il conseguimento di un obiettivo del genere, dando “tranquillità” al mecenate circa la concreta realizzazione dell’opera voluta e facendo così in modo che la collettività ne possa effettivamente beneficiare.

Ma, come sempre facciamo quando ragioniamo sull’opportunità dell’utilizzo del trust in un determinato contesto, ci dobbiamo interrogare se non esistano nel nostro ordinamento possibili soluzioni alternative che portino a conseguire i medesimi risultati o se invece il trust, anche in questo caso, abbia un quid pluris.

Nel caso di specie è evidente come la strada più “naturale” sarebbe quella della donazione: semplice concettualmente, ma inefficiente all’atto pratico.

E’ infatti evidente che donando una determinata somma ad un ente, privato o pubblico che sia, il donante non ha alcuna garanzia circa il fatto che i fondi in questione vengano effettivamente ed integralmente utilizzati per l’opera che si intende finanziare.

Per ovviare a questo rischio, si potrebbe pensare di ricorrere alla donazione modale, gravando cioè il donatario di un’obbligazione – nel caso di specie la realizzazione dell’opera – il cui mancato rispetto determini la risoluzione della donazione.

Il donante in questo caso avrebbe titolo ad agire giudizialmente per costringere l’ente all’adempimento o ottenere, in mancanza, il risarcimento del danno: non v’è però comunque possibilità di “incidere” sull’effettiva realizzazione dell’opera ed esercitare una funzione di controllo.

Altra possibile (e più sofisticata) strada da percorrere sarebbe quella della costituzione di una fondazione ad hoc, ma anche questo tipo di soluzione presenta evidenti svantaggi.

Innanzitutto il controllo pubblicistico, che fa sì che il mecenate, una volta costituita la fondazione, debba “uscire di scena”, in considerazione della rigida struttura che caratterizza la fondazione, senza poter indirizzare in modo incisivo la realizzazione dell’opera.

Inoltre, laddove le risorse messe a disposizione si rivelassero eccedenti rispetto alle necessità dell’opera, il surplus risultante non potrebbe ritornare al mecenate o ai soggetti da questi indicati, ad esempio i propri discendenti, ma vi dovrebbe essere invece necessariamente la devoluzione finale del patrimonio della fondazione.

Il trust si presenta indubbiamente soluzione maggiormente efficiente rispetto alle due ipotesi appena presentate.

Attraverso il ricorso all’istituto, il mecenate-disponente istituirebbe il trust con la finalità di realizzare quella determinata opera, trasferendo al trustee le risorse necessarie per la sua concretizzazione e nel contempo informando la sua azione al rispetto delle prescrizioni contenute nell’atto istitutivo.

Così facendo, il disponente acquisirebbe la certezza che l’ente chiamato ad attuare la stessa non potrebbe “confondere” le risorse ricevute con il proprio patrimonio. Non solo, l’atto istitutivo potrebbe prevedere, obbligando in tal senso il trustee, che le dazioni delle successive tranches di denaro siano condizionate alla verifica circa l’effettivo e soddisfacente procedere dei lavori.

L’atto potrebbe altresì stabilire, legittimamente, che le risorse stanziate eventualmente esuberanti rispetto alla realizzazione dell’opera vengano trasferite, al termine della durata del trust (che dovrebbe coincidere con il completamento dell’opera), ai soggetti indicati nello stesso atto, ad esempio i figli del disponente.

Il disponente potrebbe egli stesso assumere il ruolo di guardiano per poter esercitare un ulteriore controllo (mentre sarebbe opportuno che evitasse quello di trustee, attesa la posizione molto rigida assunta dalla Cassazione sulla legittimità dei trust autodichiarati).

Il trust darebbe garanzie anche all’ente che deve realizzare l’opera e che sarebbe in questo modo certo di ricevere le risorse stabilite.

L’utilizzo del trust per “finanziare” la realizzazione di opere benefiche o di pubblica utilità, che, come abbiamo visto, dà garanzie a tutti i soggetti interessati, dovrebbe essere fortemente agevolato da parte del legislatore: viste le mancanze sempre più evidenti del pubblico in molti settori fondamentali dal punto di vista sociale, legate alla cronica assenza di risorse, i soggetti che hanno le disponibilità e la generosità di impegnarsi in opere di questo tipo dovrebbero essere infatti incentivati.

Purtroppo così non è, almeno a livello fiscale: si pone infatti il problema della tassazione dell’atto di dotazione.

Se il trust viene qualificato come trust di scopo e si prevede l’applicazione dell’imposta di successione, donazione e sui vincoli di destinazione nella misura dell’8%, è evidente come vi sia un forte disincentivo a supportare operazioni di questo tipo.

Purtroppo in quest’ottica si è posta, inopinatamente, la Corte di Cassazione nell’ordinanza 3737 del 24 febbraio 2015.

Il caso esaminato è quello di un trust di scopo, istituito dalla Fondazione Cassa di risparmio di Perugia assieme ad alcuni enti pubblici con l’obiettivo di riqualificare l’aeroporto di Perugia. Alla cessazione del trust, l’eventuale patrimonio residuo sarebbe stato devoluto alla Regione Umbra o ad altro ente pubblico.

La conclusione raggiunta dalla Suprema Corte è stata quella dell’applicazione dell’imposta sulla costituzione del vincolo di destinazione nella misura dell’8%.

A me sembra che l’applicazione di un’imposizione così rilevante, nel momento in cui un privato destina proprie risorse alla realizzazione di una finalità di interesse pubblico, sia l’evidente sintomo di un sistema totalmente irrazionale, che andrebbe conseguentemente ripensato.

 


Special Event Trust 2015
hbspt.cta.load(393901, ‘b3bdf009-c8ed-44b7-8f91-62d3d107b43b’, {});