26 Luglio 2023

Il requisito del controllo ai fini dell’esenzione ex articolo 3, comma 4-ter, D.Lgs. 346/1990

di Luca ProcopioMarco Alberi
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L’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni di cui all’articolo 3, comma 4-ter, D.Lgs. 346/1990 è uno strumento fondamentale nella pianificazione del passaggio generazionale.

In relazione al trasferimento di quote o azioni detenute in soggetti ex articolo 73, comma 1, lettera a), Tuir, per poter godere dell’agevolazione in parola la norma richiede l’acquisizione o l’integrazione del controllo ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, numero 1), cod. civ. in capo ai beneficiari.

Le condizioni per rispettare il predetto requisito non sono sempre agevoli da identificare e ciò ha suscitato importanti interrogativi fra gli studiosi.

 

Premessa

Nel presente contributo si vuole approfondire il requisito del controllo richiesto dall’articolo 3, comma 4-ter, D.Lgs. 346/1990 (“Tus”).

Dopo aver ripercorso la normativa vigente, verranno esaminati i dubbi applicativi legati all’acquisizione del controllo e all’integrazione dello stesso cui fa riferimento il dettato normativo.

Da ultimo ci si soffermerà sull’applicazione dell’agevolazione in commento alle partecipazioni estere.

 

La normativa

L’articolo 1, comma 78, L. 296/2006, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (c.d. “Legge finanziaria 2007”), ha aggiunto il comma 4-ter all’articolo 3, Tus.

Con la norma in commento il Legislatore, sollecitato dalla Commissione Europea, dispone l’esenzione dall’imposta di donazione e successione ai trasferimenti di partecipazioni, aziende o rami di esse “al fine di facilitare il passaggio generazionale delle imprese a carattere familiare, che costituiscono… una delle componenti essenziali della struttura produttiva del Paese”.

La spettanza dell’esenzione in commento è subordinata al rispetto dei seguenti 3 presupposti:

  1. soggettivo, in base al quale l’esenzione è riconosciuta solamente quando i beneficiari del trasferimento sono i discendenti o il coniuge del dante causa;
  2. oggettivo, secondo cui il trasferimento deve riguardare esclusivamente aziende, rami di esse o partecipazioni;
  3. temporale, in base al quale i beneficiari del trasferimento devono proseguire l’esercizio dell’attività d’impresa o detenere il controllo per almeno 5 anni. A tal fine, i beneficiari devono rendere, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione (o alla stipula dell’atto di donazione), un’apposita dichiarazione con la quale manifestano la volontà di proseguire l’attività di impresa ovvero di mantenere il controllo societario per, come detto, almeno 5 anni.

Il mancato rispetto delle condizioni sopra illustrate comporta la decadenza dall’agevolazione.

Per completezza si segnala che il Legislatore ha volutamente ampliato il perimetro applicativo dell’agevolazione in commento, estendendola alla totalità delle aziende seppur l’oggetto delle indicazioni comunitarie fosse limitato alle pmi.

Detto ampliamento non ha trovato il favore della Corte Costituzionale, la quale ritiene “eccessivo che anche trasferimenti di grandi aziende, di rami di esse o di quote di società, che possono valere centinaia di milioni o addirittura diversi miliardi di euro, vengano interamente esentati dall’imposta, anche quando i beneficiari sarebbero pienamente in grado di assolvere l’onere fiscale. Ciò rende l’esenzione in discorso, per come strutturata, in parte disallineata rispetto alla finalità, in sé certamente meritevole di tutela, di garantire la sopravvivenza dell’impresa e quindi di evitare la dissipazione dell’universo dei valori sociali ad essa indubbiamente riferibili, che derivano dalla sua capacità, in varie forme e modi, di promuovere l’utilità sociale”.

Le argomentazioni della Consulta hanno sollevato importanti interrogativi circa il mantenimento in vita dell’agevolazione de qua così com’è oggi strutturata.

Sarà pertanto di chiaro interesse verificare se il Legislatore interverrà nel ridefinire il perimetro applicativo della norma, restringendolo alle sole pmi.

 

Il requisito del controllo

In relazione al trasferimento di quote o azioni detenute in soggetti ex articolo 73, comma 1, lettera a) Tuir, il comma 4-ter dell’articolo 3, Tus prevede che “…il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile”.

Sulla ratio sottesa a tale disposizione di legge si sono interrogati gli interpreti.

Con riferimento all’acquisizione del controllo, dottrina e prassi sono tendenzialmente d’accordo nel sostenere che l’agevolazione in commento trova applicazione quando oggetto del trasferimento è:

a) una partecipazione di controllo ex articolo 2359, comma 1, n. 1) del cod. civ.;

b) una partecipazione non di controllo, che, sommata alla partecipazione (non di controllo) già detenuta dal beneficiario, permette al beneficiario di esercitare il controllo ex articolo 2359, comma 1, n. 1), cod. civ..

Se dunque sembra esserci una sostanziale convergenza di vedute sulla condizione di “acquisizione del controllo” richiesta dalla norma, ciò non può dirsi per quanto concerne invece l’“integrazione del controllo”.

Parte della dottrina, infatti, ha sostenuto che “il riferimento alla integrazione del controllo, accanto alla sua acquisizione, sembrerebbe includere nel regime di agevolazione anche quei trasferimenti di partecipazioni di minoranza che avvengono a favore di un soggetto che ha già il controllo della partecipata, rafforzandolo”.

Per altra dottrina per “controllo integrato” “si intende l’operazione di trasferimento mediante la quale il soggetto avente causa consegue una maggioranza della sua partecipazione già “di controllo””.

In senso opposto, si rileva che altra autorevole dottrina ha ritenuto che l’agevolazione non spetti nel caso in cui l’avente causa abbia già il controllo di diritto della società le cui partecipazioni vengono trasferite incrementando ulteriormente la sua partecipazione per effetto di detto trasferimento.

A quest’ultima tesi sembra aderire l’Amministrazione finanziaria (si veda, da ultimo, la risposta a interpello n. 497/E/2021), la quale ha chiarito che rientrano nell’ambito dell’agevolazione in parola “le ipotesi in cui il beneficiario non disponga, precedentemente al trasferimento delle partecipazioni nella società di capitali, del requisito del controllo, vale a dire di un numero di quote in misura tale da consentirgli di essere già titolare del cinquanta per cento più uno dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”.

Diversamente, continua l’Amministrazione finanziaria, “nel caso in cui il beneficiario della donazione sia già titolare ex ante di una percentuale di partecipazione maggiore del cinquanta per cento delle quote o azioni della società, con diritto di voto nell’assemblea ordinaria, per il trasferimento delle quote o delle azioni non si realizzeranno i presupposti per l’applicazione dell’agevolazione…”.

Quest’ultima interpretazione, accolta dalla prassi, sembrerebbe preferibile in quanto, diversamente argomentando, potrebbero accedere al beneficio in parola anche i trasferimenti di partecipazioni di scarsa entità, di fatto estranee al progetto di pianificazione del passaggio generazionale, perseguendo finalità estranee alla volontà del Legislatore.

 

Il trasferimento delle partecipazioni e la “prosecuzione dell’attività d’impresa

I trasferimenti che hanno a oggetto azioni o quote di partecipazione in società di capitali, seguendo un’interpretazione letterale dell’articolo 3, comma 4-ter, Tus, sostenuta da importanti interpreti, godono dell’agevolazione de qua qualora il beneficiario si impegni, nella dichiarazione di successione (o all’atto di donazione), a mantenere il controllo della società, le cui partecipazioni sono state trasferite, per un periodo non inferiore a 5 anni dalla data del trasferimento.

Nient’altro.

La prosecuzione dell’attività di impresa da parte del beneficiario è un requisito necessario solo in caso di trasferimento di azienda (o rami di essa).

Il punto è tuttavia particolarmente dibattuto.

Secondo altra dottrina, infatti, non tutti i trasferimenti di partecipazioni sono meritevoli dell’agevolazione in commento ma solo quelli che consentono all’avente causa di acquisire o integrare il controllo (anche indirettamente), di una società che svolge effettivamente un’attività di impresa.

I medesimi principi sono stati riproposti dalla recente prassi dell’Amministrazione finanziaria.

Anche la giurisprudenza di legittimità sembra orientarsi in tal senso.

Con l’ordinanza n. 6082/2023 la Corte di Cassazione ha infatti stabilito che “nonostante l’improprietà lessicale nella stesura della disposizione normativa, si perviene alla conclusione che, ai fini dell’esenzione di imposta nel caso di trasmissione di quote di società di capitali, siano necessari non solo l’acquisizione del controllo e la sua detenzione per almeno un quinquennio, ma anche l’ulteriore requisito dell'”esercizio dell’impresa” da parte della società trasferita, in quanto “solo a questa condizione il trasferimento del controllo di una società può ritenersi equivalente al trasferimento di un’azienda, e l’agevolazione apprezzabile in una prospettiva di salvaguardia dei livelli occupazionali”, mentre “adottando la soluzione contraria, come posto in rilievo da autorevole dottrina, verrebbero agevolate le partecipazioni in “società senza impresa”, ovvero dove siano state veicolati beni non costituenti azienda (denaro, fabbricati, terreni, valori mobiliari) con il rischio di uno svuotamento del tributo successorio”.

L’orientamento restrittivo di cui sopra, che accomuna parte della dottrina, prassi e recente giurisprudenza di legittimità, supera il dato letterale e impone una riflessione.

Se, infatti, è certamente vero che il Legislatore, con la normativa in esame, ha inteso offrire un’agevolazione affinché l’attività di impresa non venga messa a rischio a causa della fiscalità applicabile al trasferimento di un’azienda (o di un ramo di essa) o di quote di partecipazione al capitale sociale di una società, ciò non può, tuttavia, comportare la limitazione dell’operatività dell’agevolazione in esame sulla base di condizioni e requisiti non espressi chiaramente dal Legislatore.

Attenendosi al mero dato letterale, dunque, è possibile ritenere che il Legislatore abbia voluto agevolare il trasferimento della quota di partecipazione della società in quanto tale, senza richiedere ulteriori verifiche qualitative.

Quando il Legislatore ha inteso fornire ulteriori requisiti validi all’applicazione di una agevolazione lo ha fatto: si pensi ad esempio alla riduzione prevista dall’articolo 25, comma 4-bis, Tus dell’imposta afferente alle aziende, quote di società di persone o beni strumentali ubicati in Comuni montani con meno di 5.000 abitanti o nelle frazioni con meno di 1.000 abitanti (anche se situate in Comuni montani di maggiori dimensioni), trasferiti al coniuge o al parente entro il III grado del defunto, che è stata riconosciuta “a condizione che gli aventi causa proseguano effettivamente l’attività imprenditoriale per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento”.

Le conclusioni cui giungono Amministrazione finanziaria e Corte di Cassazione dovrebbero dunque essere lette unicamente in ottica antiabuso e specificatamente alla fattispecie ivi trattata.

Ogni altra lettura risulterebbe contraria al dato letterale della norma e potenzialmente idonea a pregiudicare la corretta attuazione di piani di riorganizzazione e passaggio generazionale del tutto legittimi.

Per completezza, tuttavia, appare utile segnalare che, anche alla luce della recente prassi, massima attenzione meritano i trasferimenti che coinvolgono le partecipazioni in holding.

Infatti, in caso di trasferimento di azioni o quote, seppur il dettato normativo non entri nel merito delle caratteristiche qualitative che deve avere la società le cui partecipazioni costituiscono oggetto di trasferimento, richiedendo in capo ai beneficiari solo il mantenimento del controllo delle suddette partecipazioni per almeno 5 anni, riconoscere l’agevolazione de qua in assenza del requisito dell’esercizio di impresa potrebbe prestare il fianco a condotte che vanno oltre la ratio della norma, permettendo il trasferimento in esenzione di partecipazioni in società c.d. “senza impresa” ovvero meri contenitori di asset.

 

La compressione del controllo e lo “svuotamento” dei diritti dell’assemblea ordinaria

Come già chiarito, nell’ipotesi in cui oggetto del trasferimento siano quote o azioni emesse dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), Tuir (i.e. Spa e Sapa, Srl, società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato), l’esenzione spetta per il solo trasferimento di partecipazioni che consente ai beneficiari di acquisire oppure integrare il controllo, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1), cod. civ..

Con riferimento alla nozione di “controllo di diritto” il citato articolo del codice civile stabilisce che si realizza quando un soggetto dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria di una società, ossia detiene la maggioranza delle quote o azioni della società con diritto di voto nell’assemblea ordinaria.

Anche qui, attenendosi al mero dato letterale, è possibile ritenere che il Legislatore abbia voluto agevolare il trasferimento della quota di partecipazione che permetta al soggetto beneficiario di disporre della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria, a prescindere dalla circostanza che il controllo sia in concreto “depotenziato”.

In altri termini sarebbe agevolabile il trasferimento di una quota di partecipazione che consente di ottenere formalmente il controllo di una società senza dover indagare la “sostanza” della situazione societaria per stabilire se la quota di partecipazione oggetto di trasferimento possa garantire al beneficiario un effettivo potere di influire in modo diretto e immediato sull’attività sociale, indirizzandone la gestione, di fatto controllandola.

Sul punto l’Amministrazione finanziaria, con la risposta a interpello n. 185/E/2023 ha chiarito che l’agevolazione in parola è applicabile nel caso in cui ci sia un trasferimento del “potere di influire in modo diretto ed immediato sull’attività sociale, indirizzandone la gestione e le delibere, e di decidere sulla possibilità di continuare a mantenere il controllo della società stessa”.

Nel caso in oggetto, l’Agenzia delle entrate esclude l’applicazione dell’agevolazione de qua al trasferimento gratuito inter vivos della maggioranza delle azioni con diritto di voto di una Sapa lussemburghese. Ciò in quanto lo statuto della società attribuisce al socio accomandatario (diverso dai beneficiari della donazione), in via esclusiva, il potere di nominare gli amministratori, oltre a riconoscergli la possibilità di porre un veto alla circolazione delle azioni degli accomandanti.

La risposta offre spunti circa il limite massimo di “compressione” dei diritti amministrativi che devono essere riconosciuti e preservati in capo all’assemblea ordinaria.

Aderendo all’interpretazione dell’Agenzia delle entrate, per valutare l’applicabilità dell’agevolazione, non basterebbe accertare che vi sia il trasferimento di una quota di partecipazione che consente di ottenere formalmente il controllo di una società ma occorre indagare la “sostanza” della situazione societaria per stabilire se la quota di partecipazione oggetto di trasferimento.

Le conclusioni cui giunge l’Amministrazione finanziaria non appaiono del tutto convincenti.

Con riferimento all’integrazione del requisito del controllo di diritto di cui all’articolo 2359, comma 1, n. 1, cod. civ., secondo autorevole dottrina, è richiesto unicamente il possesso della maggioranza dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria, a prescindere dalla circostanza che il controllo sia in concreto “depotenziato” da clausole statutarie e/o da patti parasociali.

La stessa Agenzia delle entrate ha accolto tale orientamento affermando, a commento dell’articolo 117, comma 1, Tuir in materia di consolidato fiscale nazionale, che il controllo di diritto civilistico deve ritenersi integrato in virtù del mero possesso della maggioranza dei voti assembleari, anche laddove questo sia compresso per via di particolari clausole statutarie e/o accordi parasociali.

Quella adottata dall’Amministrazione finanziaria nei 2 documenti di prassi sopra richiamati è un’interpretazione letterale della norma che permette una immediata verificabilità dei requisiti senza dover condurre indagini sull’effettiva presenza del controllo “sostanziale”. Verifica, quest’ultima, spesso difficilmente espletabile.

I principi sopra espressi ben potrebbero essere applicati alla fattispecie oggetto del presente elaborato.

Si potrebbe dunque concludere che il possesso della maggioranza dei diritti di voto ex articolo 2359, cod. civ. sia sufficiente per soddisfare il requisito del controllo di diritto richiesto dall’articolo 3, comma 4-ter, Tus, nonostante clausole o accordi limitativi. Ciò garantirebbe certezza applicativa e semplicità nella verifica dei requisiti.

 

L’applicabilità dell’esenzione ai trasferimenti aventi a oggetto partecipazioni in società estere

Con riferimento alla territorialità dell’imposta sulle successioni e donazioni, l’articolo 2, comma 1, Tus dispone che l’imposta è dovuta in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti, ancorché esistenti all’estero.

Il successivo comma 2, precisa, tuttavia, che se alla data dell’apertura della successione (o a quella della donazione) il de cuius (o il donante) non era residente nello Stato, l’imposta è dovuta limitatamente ai beni e ai diritti ivi esistenti.

Si considerano in ogni caso esistenti nello Stato le azioni o quote di società nonché le quote di partecipazione in enti diversi dalle società, che hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale.

Da ciò deriva che, ai fini dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni, assume rilievo il trasferimento inter vivos o mortis causa di partecipazioni in società estere da parte di un soggetto residente in Italia.

Nel circoscrivere l’esenzione alle partecipazioni di società di capitali che consentono al beneficiario di acquistare o integrare il controllo sociale, la norma fa espresso riferimento alle “quote sociali e azioni di soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”, norma che include esclusivamente “le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, nonché le società europee di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 e le società cooperative europee di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato”.

Come già chiarito, qualora le quote sociali o le azioni si riferiscano a società di capitali, a cooperative o a società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato, la spettanza del particolare regime fiscale è subordinata alla circostanza che il possesso delle partecipazioni consenta al beneficiario di acquisire o integrare il controllo della società attraverso la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria.

Con riferimento alla possibile applicazione dell’esenzione in parola alle partecipazioni in società estere, in dottrina si sono affermate 3 tesi contrapposte:

  1. la prima, secondo la quale le partecipazioni in società non residenti possono accedere all’esenzione senza dover soddisfare alcun requisito concernente il controllo sociale;
  2. un’ulteriore tesi, applicando un’interpretazione “sistematica”, ritiene che l’esenzione possa applicarsi alle partecipazioni in società estere alle stesse condizioni applicate alle società residenti;
  3. un’ultima tesi, invero minoritaria, escluderebbe tout court l’applicazione dell’esenzione alle partecipazioni estere in quanto non espressamente citate dalla normativa (il riferimento è infatti alle sole partecipazioni in entità residenti).

La prima e la terza tesi hanno il grosso limite di discriminare, in senso negativo la prima, e in senso positivo la terza, le partecipazioni in società residenti.

Tale interpretazione sarebbe illogica sia dal punto di vista del diritto interno sia da quello del diritto unionale.

Per quanto riguarda la seconda tesi, la Corte di Cassazione, in linea con l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, ha recentemente stabilito che l’esenzione de qua trova applicazione anche per le partecipazioni di società non residenti in Italia se comunque residenti nell’Unione Europa, qualora siano rispettate contemporaneamente le medesime condizioni richieste dalla norma con riferimento alle partecipazioni in società residenti in Italia, ossia:

  1. che con la donazione sia integrato o mantenuto il controllo di diritto sulla società partecipata in capo agli aventi causa;
  2. che questi si impegnino a mantenere il controllo societario, per un periodo non inferiore a 5 anni dalla data del trasferimento, con apposita dichiarazione contestuale alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione.

Tale tesi si basa sul fatto che riconoscere l’agevolazione alle partecipazioni in società non residenti nel territorio dello Stato in modo incondizionato “definirebbe per queste partecipazioni un regime più favorevole di quello valevole per le partecipazioni in società residenti” nel territorio dello Stato.

L’interpretazione della Suprema Corte appare, agli occhi degli scriventi, appropriata e in linea con la ratio normativa oltre che rispettosa della normativa unionale.

In conclusione, quindi, seppur il dettato normativo faccia esplicito riferimento alle sole Spa, Srl, società cooperative, società di mutua assicurazione e società europee residenti nel territorio dello Stato si ritiene che l’agevolazione in parola sia da estendere anche alle entità non residenti.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Patrimoni, finanza e internazionalizzazione.