10 Aprile 2024

Il concetto di stagionalità ai fini della compartecipazione agraria

di Luigi Scappini
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La scheda di FISCOPRATICO

Per effetto del riordino dei contratti agrari, attuato tramite la L. 203/1982, il legislatore ha attratto nel perimetro di detta norma, tutti i contratti aventi a oggetti i terreni concessi per usi agricoli; tuttavia, in un contesto di libera contrattazione tra le parti, ha ammesso la possibilità di derogare alle regole ivi previste, come stabilito all’articolo 45, L. 203/1982.

In tal caso, a tutela delle parti, è previsto l’obbligo di farsi assistere dalle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, cui è assegnato il ruolo di garanti.

A ben vedere, vi sono alcuni contratti che, pur avendo a oggetto il terreno, non rientrano, per espressa previsione normativa, nel perimetro applicativo della L. 203/1982; in particolare, ai sensi dell’articolo 56, L. 203/1982, sono esclusi:

  • i contratti di compartecipazione limitata a singole colture a carattere stagionale;
  • le concessioni per le coltivazioni intercalari;
  • le vendite di erba in piedi aventi una durata inferiore all’anno nel caso in cui i relativi terreni non siano destinati al pascolo permanente ma a rotazione agraria.

La compartecipazione agraria rappresenta sicuramente una delle forme di “gestione congiunta” di un fondo maggiormente sviluppate in agricoltura.

Essa consiste in un contratto con cui due soggetti si accordano per svolgere insieme una coltivazione, che deve rispettare i seguenti requisiti: deve avere a oggetto singole colture aventi il carattere della stagionalità.

Qualche difficoltà si ha nel definire compiutamente il concetto di stagionalità che deve essere oggettiva e non in ragione della soggettività estimativa delle parti.

Le problematiche derivano dalla circostanza che lo stesso diritto agrario non individua espressamente le colture stagionali, limitandosi a distinguere tra annuali e pluriennali.

Dando per scontato che le produzioni aventi cicli produttivi pluriennali, ad esempio la vigna o l’uliveto, di principio non potranno mai essere oggetto di un contratto di compartecipazione agraria, bisogna comprendere se tutti i cicli produttivi annuali rientrino nel perimetro della stagionalità o meno.

Per poter individuare quali siano le colture a ciclo annuale che possono essere considerate stagionali si deve aver riguardo alla ratio che devono avere le stesse, ovvero quella di essere praticata nell’intervallo tra due colture principali, da qui la definizione di “colture secondarie” o “colture da rinnovo”.

La stagionalità non esclude la ripetitività, in altri termini, è possibile prevedere, in sede di stipula del contratto di compartecipazione stagionale, che lo stesso si rinnovi tacitamente, salvo disdetta da comunicarsi alla parte entro un termine stabilito, senza che ciò possa travolgere la natura stagionale del contratto stesso.

Attenzione che la compartecipazione stagionale non si deve confondere con il contratto intercalare, altra fattispecie di coltura che si caratterizza anch’essa per lo svolgersi nell’intervallo temporale tra due colture principali, ma che non prevede l’esercizio congiunto.

Infatti, caratteristica della compartecipazione stagionale è che il rischio imprenditoriale relativo all’attività svolta in comune è condiviso tra entrambi i soggetti; e tale rischio deve essere ben codificato nel contratto, non essendo possibile, ad esempio, prevedere una produzione minima in capo a uno dei due soggetti.

Per quanto concerne i costi sostenuti, le parti hanno piena libertà nell’individuare le modalità di addebito tra di esse, fermo restando che compete al concedente, oltre che il “conferimento” del terreno, anche la realizzazione delle operazioni preliminari alla coltivazione, quali l’aratura e la concimazione. Di contro, il compartecipante sarà inciso delle spese inerenti (sementi, concimi, prodotti fitosanitari), nonché dell’esecuzione dei lavori colturali necessari.

Libertà di pattuizione è concessa anche per quanto riguarda le metodologie di ripartizione del prodotto che, come anticipato, non deve escludere il rischio imprenditoriale in capo ai soggetti tramite, ad esempio, il riconoscimento in capo a uno dei contraenti di un quantitativo minimo di prodotto garantito.

Da un punto di vista fiscale, si applica la deroga prevista dall’articolo 33, comma 2, Tuir, ai sensi del quale “Nei casi di conduzione associata, salvo il disposto dell’articolo 5, il reddito agrario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun associato per la quota di sua spettanza.”.

In questo caso, è compito del possessore del terreno (o dell’affittuario) allegare alla dichiarazione dei redditi un atto sottoscritto da tutti gli associati dal quale risultino la quota del reddito agrario spettante a ciascuno e la decorrenza del contratto.

In caso contrario, mancando la sottoscrizione anche di un solo associato o l’indicazione della ripartizione del reddito si presume che questo sia ripartito in parti uguali.