6 Giugno 2023

I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate in merito alla residenza fiscale dei funzionari UE

di Francesca Benini
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La scheda di FISCOPRATICO

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a istanza di interpello n. 956-482/2023 del 29.05.2023, si è espressa in merito ai criteri di individuazione della residenza fiscale dei funzionari/agenti dell’UE.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate, con il citato documento di prassi, ha ricordato che, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, Tuir, sono considerate fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo di imposta, alternativamente sono iscritte nelle anagrafi comunali della popolazione residente ovvero hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, ha osservato che tale norma deve essere coordinata con quelle previste dal diritto internazionale dal momento che quest’ultime costituiscono disposizioni speciali derogatorie a quelle tributarie nazionali.

Ebbene, in relazione ai funzionari/agenti dell’UE, l’Agenzia delle Entrate ha evidenziato che il Protocollo n. 7 sui privilegi e sulle immunità dell’Unione Europea (accluso al trattato dell’Unione Europea sul funzionamento dell’Unione Europea) detta una specifica disciplina in merito all’individuazione della residenza fiscale di detti soggetti.

In particolare, l’articolo 13 del citato Protocollo prevede che “ai fini dell’applicazione delle imposte sul reddito e sul patrimonio, dei diritti di successione, nonché delle convenzioni concluse fra gli Stati membri dell’Unione al fine di evitare le doppie imposizioni, i funzionari e gli altri agenti dell’Unione, i quali, in ragione esclusivamente dell’esercizio delle loro funzioni al servizio dell’Unione, stabiliscono la loro residenza sul territorio di uno Stato membro diverso dal paese ove avevano il domicilio fiscale al momento dell’entrata in servizio presso l’Unione, sono considerati, sia nello Stato di residenza che nello Stato di domicilio fiscale, come tuttora domiciliati in quest’ultimo Stato qualora esso sia membro dell’Unione. Tale disposizione si applica ugualmente al coniuge, sempreché non eserciti una propria attività professionale, nonché ai figli ed ai minori a carico delle persone indicate nel presente articolo e in loro custodia”.

In altre parole, il suddetto articolo individua ex lege la residenza fiscale per quei funzionari/agenti dell’UE che, per ragioni esclusivamente riconducibili all’esercizio delle proprie funzioni, trasferiscono la residenza in uno Stato UE, diverso da quello nel quale avevano fissato il proprio domicilio fiscale al momento dell’entrata in servizio.

Tali soggetti, infatti, ai sensi dell’articolo 13 del Protocollo, ai fini esclusivamente fiscali, devono essere considerati residenti nello Stato UE in cui il funzionario/agente aveva fissato il proprio domicilio fiscale al momento dell’entrata in servizio.

Il concetto di “domicilio fiscale” richiamato nell’articolo 13 del Protocollo deve essere interpretato secondo i criteri indicati nell’articolo 43, comma 1, cod. civ., ossia deve essere interpretato come il luogo in cui la persona fisica abbia stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi.

Le disposizioni regolamentate dall’articolo 13 del Protocollo trovano applicazione solo nei confronti di quei funzionari/agenti che acquisiscono la residenza in uno Stato UE per ragioni esclusivamente riconducibili all’esercizio delle loro funzioni nell’Unione Europea.

Ne consegue, pertanto, che le citate disposizioni non possono essere invocate nel caso in cui la residenza in uno Stato UE sia stata acquisita già prima dell’inizio dell’esercizio delle funzioni nell’Unione Europea.

Parimenti, l’articolo 13 del Protocollo non può trovare applicazione nel caso in cui la residenza in uno Stato UE venga stabilita per ragioni diverse da quelle dell’esercizio delle funzioni nell’UE, indipendentemente dalla circostanza che tali ragioni siano di natura personale ovvero professionale.

In via ulteriore, il dettato normativo dell’articolo 13 del Protocollo non può essere invocato da parte di quei soggetti che trasferiscono la residenza in uno Stato UE per una molteplicità di ragioni, tra le quali si annovera quella dell’esercizio delle funzioni nell’UE. L’articolo 13 del Protocollo trova applicazione esclusivamente nel caso in cui l’esercizio delle funzioni nell’UE risulta essere l’unica ragione del trasferimento della residenza in uno Stato UE.

L’Agenzia delle Entrate, inoltre, con la risposta a istanza di interpello oggetto di esame, ha affermato che, in base ad una interpretazione letterale dell’articolo 13 del Protocollo, tale articolo deve trovare applicazione anche per quei funzionari/agenti che trasferiscano la propria residenza in uno Stato UE esclusivamente per ragioni riconducibili all’esercizio delle funzioni, ma che, con il passare degli anni, decidano di rimanere in detto Stato (anche) per ulteriori ragioni.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, infatti, il citato articolo 13 del Protocollo richiede l’esistenza della volontà di svolgere funzioni nell’UE solo ed esclusivamente al momento del trasferimento della residenza in uno Stato UE e non negli anni successivi.