19 Luglio 2014

Esterovestizione di trust paradisiaci

di Ennio VialVita Pozzi
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L’articolo 73 co.3 del Tuir stabilisce che si considerano residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Paesi che non consentono lo scambio di informazioni (paesi non inclusi nella cosiddetta “white list” approvata con D.M. 4.9.1996 e successive modificazioni) quando almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.

La condizione della residenza italiana del disponente e del beneficiario non deve necessariamente essere verificata nello stesso periodo d’imposta. Infatti, la residenza del disponente in considerazione della natura istantanea dell’atto di disposizione, rileva nel periodo d’imposta in cui questi ha compiuto l’atto di disposizione a favore del trust.

Eventuali cambiamenti di residenza del disponente in periodi d’imposta diversi sono irrilevanti.

Per la parte riguardante il beneficiario, la norma è applicabile ai trust con beneficiari individuati. Ovviamente i beneficiari non devono essere necessariamente individuati nell’atto istitutivo di trust, ben potendo essere determinati successivamente ad esempio dal trustee.

In questi casi la circolare n. 48/E/2007 afferma che la residenza fiscale del beneficiario attrae in Italia la residenza del trust anche se questa si verifica in un periodo d’imposta successivo a quello in cui il disponente ha posto in essere il suo atto di disposizione a favore del trust.

La circolare precisa, infine, che ai fini dell’attrazione della residenza in Italia è irrilevante l’avvenuta erogazione del reddito a favore del beneficiario nel periodo d’imposta.

L’articolo 73 co. 3 del Tuir stabilisce, inoltre, che si considerano residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato che non consente lo scambio di informazioni quando, successivamente alla costituzione, un soggetto residente trasferisca a favore del trust la proprietà di un bene immobile o di diritti reali immobiliari ovvero costituisca, a favore del trust, dei vincoli di destinazione sugli stessi beni e diritti.

Si tratta, in sostanza, del caso in cui pur in mancanza di un disponente originario o di un beneficiario italiano, interviene un successivo disponente italiano che apporta beni immobili. La circolare precisa che è proprio l’ubicazione degli immobili che crea il collegamento territoriale e giustifica la residenza in Italia.

Tale considerazione lascia perplessi in quanto la norma sembra trovare applicazione anche nei casi in cui gli immobili non siano collocati in Italia. L’Agenzia ha forse voluto smussare la lettera di una norma che appariva alquanto rigida in quanto faceva scattare l’esterovestizione anche con la mera presenza di un immobile, a prescindere dal paese in cui era collocato.

In entrambe le ipotesi considerate, come detto, l’attrazione della residenza interviene solo se il trust è “istituito” in un Paese con il quale non è attuabile lo scambio di informazioni e che quindi non è riportato nella white list di cui al D.M. 4.9.1996.

Sarebbe interessante conoscere se questa lista può essere integrata anche con i nuovi Paesi indicati nella C.M. 38/E/2013. Forse quello più interessante è costituito da San Marino che è considerato white list a partire dal 2014.

Ovviamente è appena il caso di ricordare che i trust residenti saranno tassati in Italia sui redditi ovunque prodotti (world wide income) mentre per i trust non residenti l’imponibilità in Italia riguarda solo i redditi prodotti nel territorio dello Stato ai sensi dell’art.23 del Tuir.

La presunzione di residenza in Italia è solo relativa, ben potendo il contribuente dimostrare l’effettiva residenza fiscale del trust all’estero. In questo caso bisognerà dimostrare, ad esempio, che il trustee estero opera effettivamente all’estero e che l’oggetto principale dell’attività del trust non è collocata in Italia.

Si tratta di una presunzione che risulta particolarmente agevole se il trustee opera in una “isoletta sperduta” del Pacifico, ma che diviene alquanto ardua nel caso della Svizzera.

La circolare 48/E/2007 precisa che, ove compatibili, anche le disposizioni in materia di esterovestizione delle società previste dall’art. 73 del Tuir co. 5-bis e 5-ter, sono applicabili ai trust ed in particolare a quelli istituiti o comunque residenti in Paesi compresi nella white list, per i quali non trova applicazione la specifica presunzione di residenza di cui sopra.

La disciplina sull’esterovestizione delle società, introdotta con il D.L. n.223/06, ha inserito nell’art.73 una presunzione relativa in base alla quale è considerata esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art.2359 del c.c. nei seguenti soggetti: Spa, Sapa, Srl, società cooperative, società di mutua assicurazione, enti pubblici e privati diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, se, alternativamente:

  • sono
    controllate, anche indirettamente, ai sensi dell’art.2359, co.1, del c.c., da
    soggetti residenti nel territorio dello Stato;
  • sono
    amministrate da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in
    prevalenza di consiglieri
    residenti nel territorio dello Stato.

L’estensione al trust di una simile disciplina, ancorché con le riserve espresse dalla circolare, desta non poche perplessità.

Sicuramente non può trovare applicazione la prima ipotesi in quanto il trust non può, per sua natura, essere controllato da una società.

La norma potrebbe trovare applicazione nel caso di un trust estero con trustee residente in Italia e con partecipazioni di controllo in società di capitali italiane. Si tratta invero di un’ipotesi piuttosto remota in quanto i trust esteri sono di norma gestiti da trustee esteri.

La disciplina è quindi incompatibile o di difficilissima applicazione.