16 Dicembre 2016

Esportazione di beni venduti al termine della fiera

di Marco Peirolo
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Nell’ambito delle esportazioni con passaggio della proprietà successivamente all’invio dei beni in territorio estero si pone il problema di stabilire se la fattura di vendita possa essere emessa in regime di non imponibilità di cui all’articolo 8 del D.P.R. 633/1972, come tale rilevante ai fini dell’acquisizione dello status di esportatore abituale e della formazione del plafond.

Il caso che s’intende esaminare è quello del macchinario inviato in un Paese extra-UE per essere esposto ad una fiera, al termine della quale il bene sarà venduto in esecuzione dell’ordine di acquisto già ottenuto dall’impresa nazionale.

Secondo il più recente orientamento dell’Amministrazione finanziaria, l’invio di beni all’estero costituisce una mera esportazione “franco valuta” in cui manca uno degli elementi che caratterizzano le cessioni all’esportazione di cui al citato articolo 8 del D.P.R. 633/1972 e cioè il trasferimento del diritto di proprietà sui beni stessi.

Tale indicazione, esplicitata dalla risoluzione AdE 306/2008, subisce una prima eccezione nell’ipotesi di “consignment stock, rispetto alla quale, all’atto dell’espletamento delle formalità doganali di esportazione, si è in presenza di una cessione a titolo oneroso dei beni in uscita; cessione che, in virtù delle pattuizioni di cui al contratto in esame, è realizzata secondo un procedimento che si perfezionerà solo in un secondo momento, vale a dire all’atto del prelievo dal deposito. In questa ipotesi, la risoluzione AdE 58/2005 ha osservato che, con il prelievo, si dà esecuzione alla compravendita da parte dell’acquirente al quale i beni sono stati inviati e messi a sua disposizione dal venditore; si realizzano, pertanto, i presupposti per inquadrare l’operazione nell’ambito delle cessioni all’esportazione non imponibili IVA ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. 633/1972.

La stessa Agenzia delle Entrate, nella successiva risoluzione 94/E/2013, ha esteso il beneficio della non imponibilità ad una ulteriore fattispecie, che ricorre quando i beni sono inviati al di fuori dell’Unione europea in regime “franco valuta”, cioè senza trasferimento della proprietà, per essere successivamente ceduti al cliente non residente in virtù dell’impegno contrattualmente vincolante assunto ab origine dalle parti. Nel presupposto che il fornitore italiano possa considerarsi, al momento del trasporto/spedizione dei beni in territorio estero, obbligato a vendere al cliente non residente i suddetti beni, può ritenersi che, con il prelievo della merce dal deposito per la consegna al cliente, si dà esecuzione alla compravendita e si realizzano i presupposti per inquadrare l’operazione nell’ambito delle cessioni all’esportazione non imponibili.

Questa conclusione presuppone che sussista il carattere definitivo dell’operazione, sicché risulta essenziale, al fine di evitare iniziative fraudolente, la prova – il cui onere grava sul contribuente – che l’operazione, fin dalla sua origine, e nella relativa rappresentazione documentale, sia stata concepita in vista del definitivo trasferimento e cessione della merce all’estero. La prova richiesta ricalca quella prevista dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della dimostrazione dell’invio dei beni al di fuori del territorio comunitario nell’ambito delle triangolazioni all’esportazione (Cassazione n. 14405/2014). È stato, infatti, affermato che, affinché un’operazione triangolare possa qualificarsi come cessione non imponibile, l’espressione letterale “a cura” del cedente, contenuta nell’articolo 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. 633/1972, deve essere interpretata in relazione allo scopo della norma, che è quello di evitare operazioni fraudolente, quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente (al di fuori, cioè, di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente) decidere di inviare i beni in altro Stato membro o al di fuori dell’Unione europea. Pertanto, non è necessario che il trasporto/spedizione della merce avvenga in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest’ultimo, essendo essenziale solo che vi sia la prova che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, secondo la comune volontà degli originali contraenti, come cessione nazionale in vista del trasporto/spedizione al cessionario residente all’estero.

È possibile ritenere che il regime di non imponibilità debba essere riconosciuto anche nella fattispecie oggetto di disamina, riguardante il macchinario inviato in un Paese extra-UE per essere esposto ad una fiera, al termine della quale sarà venduto in esecuzione dell’ordine di acquisto ottenuto dall’impresa nazionale anteriormente all’invio in territorio estero.

Anche nel caso considerato, infatti, l’esportazione “franco valuta” assume carattere definitivo in virtù dell’ordine di acquisto da parte dell’acquirente non residente e, in ogni caso, questa conclusione trova conferma nella posizione (più liberista) della Corte di Cassazione, che consente l’applicazione della non imponibilità IVA in sede di fatturazione delle cessioni di beni già esistenti all’estero nell’ambito di una fiera mercato a prescindere dall’impegno contrattualmente vincolante assunto ab origine dalle parti (Cassazione n. 5168/2016).

Riguardo alla prova della volontà delle parti di inviare la merce all’estero ai fini della successiva vendita, è opportuno applicare le indicazioni rese dalla citata risoluzione 94/E/2013, secondo la quale il collegamento tra i beni inviati all’estero in regime “franco valuta” (per specie, qualità e quantità) e quelli ceduti secondo gli accordi contrattuali può essere dimostrato mediante:

  • l’annotazione in un apposito registro, tenuto ai sensi dell’articolo 39 del D.P.R. 633/1972, delle spedizioni dei beni all’estero, riportando per ciascuna annotazione gli estremi del documento di esportazione;
  • l’indicazione nella fattura di vendita, emessa al momento della consegna dei beni all’acquirente, della corrispondente annotazione del registro relativa ai medesimi prodotti.

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