1 Marzo 2022

Esercizio abusivo della professione anche se gli atti non sono riservati ma “caratteristici”

di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365
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Con la sentenza n. 7053, depositata ieri, 28 febbraio, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del reato di esercizio abusivo della professione.

Un ragioniere commercialista, pur essendo stato radiato dall’Albo, continuava a svolgere la sua attività tramite un Centro Elaborazione dati e veniva conseguentemente condannato per il reato di esercizio abusivo della professione (articolo 348 c.p.).

Si difendeva il professionista evidenziando che l’articolo 1 D.Lgs. 139/2005 enuncia attività “caratteristiche ma non esclusive” che possono anche essere esercitate da parte dei non iscritti; ed infatti, nello svolgimento della sua attività lo stesso si era presentato al cliente nella veste di “consulente” e non di “dottore commercialista”.

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha però ritenuto infondato il ricorso dell’imputato.

A tal proposito è stato preliminarmente evidenziato che l’articolo 348 c.p., volto a punire chi abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione, tutela l’interessa generale, della pubblica amministrazione, affinché determinate professioni, richiedenti requisiti di competenza tecnica e probità, siano esercitate soltanto da coloro che presentino le qualità previste.

Da ciò ne consegue che deve ritenersi del tutto irrilevante l’eventuale consenso prestato da colui che riceve la prestazione.

Ciò precisato, la Corte di Cassazione interviene quindi con un ancor più rilevante chiarimento: “concreta esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell’articolo 348 c.p., non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva ad una determinata professione, ma anche il compimento senza titolo di atti che, come nel caso in esame, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato”.

Sul punto meritano di essere richiamate le importanti precisazioni offerte dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 11545 del 23.03.2012, volta a dirimere il contrasto giurisprudenziale che era sorto sull’ambito applicativo del reato di cui all’articolo 348 c.p., tra un primo orientamento che attribuiva rilievo esclusivamente allo svolgimento di attività specificatamente riservate da un’apposita norma a una determinata professione, e un secondo filone che, nel distinguere tra atti “tipici” della professione ed atti “caratteristici“, strumentalmente connessi ai primi, riteneva rilevanti anche questi ultimi, se svolti in modo continuativo e professionale, essendo in questo caso comunque svolta un’attività per la quale è richiesta l’iscrizione all’Albo.

Le conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite hanno portato quindi ad individuare, accanto alla “riserva” professionale collegata all’attribuzione in esclusiva dell’atto singolo, una riserva collegata allo svolgimento, con modalità tipiche della professione, di atti univocamente ricompresi nella sua competenza specifica.

Il fatto, poi, che nel caso di specie sia stata costituita un’apposita società di capitali per lo svolgimento della professione non fa venire meno il carattere personale della prestazione e, quindi, l’apparenza dell’esercizio di un’attività professionale da parte del soggetto non abilitato.