7 Giugno 2024

EBITDA e PFN: le chiavi del successo nelle operazioni di M&A

di Riccardo Conti di MpO & Partners
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Il CNDCEC ha elaborato, all’interno del documento di ricerca “EBITDA e PFN a fini valutativi e negoziali” pubblicato lo scorso marzo, un’interessante trattazione incentrata sulle nozioni di EBITDA e di Posizione Finanziaria Netta (PFN), due indicatori di performance ampiamente diffusi nella prassi delle operazioni di cessioni e acquisizioni (M&A). Le considerazioni evidenziate nel documento forniscono ai professionisti delle linee guida utili a fare chiarezza su alcune componenti di calcolo di questi parametri.

Obiettivo del presente articolo è quello di fornire un estratto degli aspetti più significativi e di rilievo emersi nell’approfondimento.

 

EBITDA

Il margine EBITDA, Earnings Before Interests, Taxes, Depreciation and Amortization, rappresenta l’utile più imposte, interessi e ammortamenti (laddove Depreciation si riferisce ai beni materiali, Amortization a quelli immateriali) e viene utilizzato come:

i) misuratore di performance economica e

ii) elemento alla base della valutazione di un’impresa.

Iniziamo trattando il suo utilizzo come indicatore di performance. In tale ambito, l’EBITDA viene calcolato escludendo alcune componenti di costo non monetarie, come ad esempio gli ammortamenti relativi ad asset materiali e immateriali. Il fine ultimo del calcolo è quello di fornire un’approssimazione circa la capacità di generare liquidità attraverso le attività operative durante un determinato periodo, riflettendo così l’andamento economico complessivo.

Ne consegue che confluiscono nell’EBITDA tutte quelle poste caratterizzate da una correlata presunta manifestazione finanziaria. Tuttavia, ci sono alcune eccezioni, che il CNDCEC riporta a titolo esemplificativo:

  • Altri ricavi. Questa voce comprende sia entrate che influenzano direttamente la situazione finanziaria (es. recupero delle spese di trasporto), sia entrate che non hanno un impatto immediato sullo stato finanziario nell’anno di registrazione (come la parte di un risconto passivo ricevuto per ottenere contributi pubblici), e infine entrate che hanno un impatto finanziario parziale (come i profitti generati dalla vendita di beni strumentali). Nella pratica della presentazione dei dati finanziari delle aziende, non vengono apportate rettifiche ai fini del calcolo dell’EBITDA relativamente a queste voci.
  • Svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide. Si tratta degli accantonamenti riservati per ridurre il valore dei crediti commerciali che potrebbero non essere recuperabili. Queste svalutazioni non comportano effettivi pagamenti finanziari e potrebbero essere escluse dai costi nell’EBITDA. Tuttavia, nella pratica, questa questione è gestita in modo diverso e talvolta, per ragioni di prudenza, le svalutazioni dei crediti vengono incluse nella misurazione dell’EBITDA.
  • Accantonamenti per rischi e altri accantonamenti. Costituiscono riserve create per affrontare eventuali perdite o spese future, senza che ci sia un effettivo dispendio finanziario nel periodo in cui vengono contabilizzati. Ai fini della determinazione dell’EBITDA, il trattamento di queste poste è lo stesso di quanto discusso nel punto precedente.

L’EBITDA può essere utilizzato anche con una funzione negoziale nell’ambito di un’operazione di M&A. In questo caso l’accezione alla base del calcolo risponde a logiche ed obiettivi piuttosto diversi da quelli sin qui considerati. In questo caso, infatti, viene data enfasi alla capacità dell’EBITDA di esprimere la normale generazione di cassa. Ciò implica: a) un diverso trattamento di alcune voci che confluiscono nel calcolo di base dell’EBITDA e b) una rivisitazione del calcolo mediante l’inserimento di rettifiche e correttivi volti a normalizzare l’EBITDA da componenti di costo o ricavo ritenute anomale, inusuali e/o straordinarie e quindi non ricorrenti, al fine di determinare un EBITDA “normalizzato” (EBITDA Adjusted).

Le voci sopra riportate per il calcolo dell’EBITDA subiscono, ai fini negoziali, le seguenti modifiche:

  • Altri ricavi: le quote periodiche di risconto passivo a fronte dell’ottenimento di contributi pubblici vengono rettificate, dal momento che, di norma, la contabilizzazione del contributo avviene, nella maggior parte dei casi, contestualmente al relativo incasso, il quale in linea teoria è già confluito nella PFN, per cui si andrebbe incontro ad un probabile double counting sotto l’aspetto valutativo.
  • Svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide: posta tipicamente non monetaria e non sempre ricorrente, per cui, al fine di identificare il livello normale di generazione di cassa, si rende necessaria una normalizzazione in sede di Due Diligence finanziaria. Infatti, partendo dall’analisi delle perdite su crediti e delle svalutazioni di un periodo rappresentativo, si procede alla stima dei mancati incassi dovuti a perdite sui crediti. Questo importo, in proporzione al volume d’affari nel periodo in esame, rappresenta una percentuale ragionevole di ricavi non incassati che si traduce in una componente monetaria (i mancati incassi), coerente con l’obiettivo principale dell’EBITDA negoziato.
  • Accantonamenti per rischi e altri accantonamenti: in generale, vale il principio secondo cui se un accantonamento è ricorrente e mira a stimare un futuro dispendio di cassa legato al rischio, l’EBITDA negoziato potrebbe non necessitare rettifiche particolari. Quando l’accantonamento riguarda una transazione o un impegno specifico e non ripetibile, è preferibile escluderlo dall’EBITDA, considerando la migliore stima di questo dispendio finanziario come un costo aggiuntivo da computare nella PFN.

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