2 Marzo 2023

Costi indeducibili e presunzione di distribuzione da parte di società a ristretta base sociale

di Stefano Rossetti
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La scheda di FISCOPRATICO

Recentemente la Corte di Cassazione (sentenza n. 25322/2022) è tornata ad esprimersi sulla presunzione di distribuzione degli utili da parte delle società a ristretta base sociale.

Con tale ultima pronuncia la Suprema Corte ha di nuovo affermato che anche i costi indeducibili fanno scattare il meccanismo presuntivo.

Il filone intrapreso dalla Corte di Cassazione oramai può definirsi consolidato, ma non per questo può considerarsi logico e coerente con i principi ragionieristici di base.

Come noto, la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili da parte delle società ristretta base partecipativa prevede, in estrema sintesi, che i costi neri o ricavi non tassati dalla società accertata rappresentino utili percepiti dalla compagine sociale. La presunzione, così strutturata, si fonda sull’assunto che la società a cui viene rettificato il reddito imponibile sia “a ristretta base partecipativa” di cui i soci, ragionevolmente, ne rappresentino i dominus nella misura in cui riescano ad occultare, a loro vantaggio, materia imponibile in capo alla stessa.

Occorre sottolineare che, nell’ambito della presunzione, oggetto di imputazione in capo ai soci, su base presuntiva, non è il reddito imponibile accertato in capo alla società partecipata, ma l’utile di esercizio. La distinzione non è solo formale ma anche sostanziale.

Il reddito imponibile, infatti, rappresenta una grandezza di natura fiscale che, quantificando la capacità contributiva dei contribuenti in un determinato lasso temporale (il periodo d’imposta), permette di liquidare l’obbligazione tributaria, la quale, in termini civilistici, partecipa alla determinazione del risultato di esercizio in qualità di costo.

Come noto, le società di capitali sono assoggettate all’imposta Ires, il cui presupposto impositivo è rappresentato dal possesso del reddito d’impresa e, in tale ambito, l’indice di espressione della capacità contributiva, intesa come forza economica effettiva ed attuale da svariate sentenze della Corte Costituzionale, è individuato nel risultato di conto economico.

Nello specifico, l’articolo 83, comma 1, Tuir prevede che “il reddito complessivo è determinando apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione”.

Dunque, in estrema sintesi, il reddito imponibile, quale indice di misurazione dell’obbligazione tributaria,:

  • deriva dal risultato di esercizio (ante imposte);
  • permette di quantificare le imposte di competenza al fine di determinare il risultato di esercizio (dopo le imposte).

L’utile di esercizio, invece, rappresenta una grandezza di natura contabile determinata come differenza tra i ricavi e costi di competenza di un determinato esercizio sociale, tra cui figurano anche le imposte calcolate sulla base del reddito imponibile come sopra definito.

L’utile di esercizio, dunque, è una posta che assume rilievo fiscale solo in caso di sua esternalizzazione rispetto all’entità che lo ha prodotto.

In particolare, l’esternalizzazione deve avvenire materialmente; infatti solo l’effettivo percepimento dell’utile (principio di cassa) rappresenta un fatto fiscalmente rilevante in capo al socio, in termini di reddito di capitale ex lettera e) del comma 1 dell’articolo 44 Tuir se percepito da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, ovvero di reddito d’impresa ex articolo 89 o 59 Tuir se percepito da società di capitali, società di persone o imprenditori individuali.

Imputare presuntivamente il reddito imponibile, in luogo dell’utile di esercizio, comporta conseguenze importanti sia sul piano giuridico sia sul piano pratico; infatti, l’imputazione del reddito imponibile comporta l’applicazione di una sorta di regime di trasparenza fiscale che non è previsto dall’ordinamento tributario se non a seguito dell’esercizio di un’opzione espressamente prevista ai sensi dell’articolo 115 del Tuir, con ciò violando il principio di riserva di legge sancito dall’articolo 23 Cost., poiché una presunzione non può mutare la natura di un reddito stabilita dalla legge.

Inoltre, in secondo luogo, non sarebbe accettabile un sistema impositivo di natura mista, in cui il regime di tassazione varia in ragione del soggetto che liquida il reddito:

  • se il reddito d’impresa viene autoliquidato, la società viene assoggettata ad Ires su tale reddito, mentre i soci scontano le imposte sui redditi solo all’atto della distribuzione dell’utile di esercizio;
  • se il reddito d’impresa viene accertato dall’Amministrazione finanziaria, la società viene assoggettata ad Ires su tale reddito e i soci sul medesimo devono scontare l’imposizione fiscale.

Sulla scorta dei ragionamenti sopra esposti, i costi indeducibili non possono essere ricompresi nell’ambito operativo della presunzione, per un duplice motivo:

  • non hanno effetto sul risultato di esercizio (infatti hanno il solo effetto di incrementare il reddito imponibile);
  • non vi sarebbe la provvista per la distribuzione di tale eventuale utile (il costo ha avuto come contropartita l’uscita finanziaria in favore del fornitore).