8 Novembre 2013

Come ti tasso gli immobili

di Massimiliano Tasini
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In questo strano Paese, da oltre dieci anni le imposte sui redditi di lavoro – in tutte le sue forme – salgono, mentre quelle sui plusvalori vengono forfetizzate in misure risibili: così è per le partecipazioni societarie ed anche per gli immobili (terreni, fabbricati) ceduti da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di un’attività di impresa.

Detta previsione, oltre che assai discutibile sul piano della politica economica, ha portato, per quanto qui particolarmente interessa, a limitare al massimo le controversie in materia di tassazione delle une e degli altri: è, infatti, chiaro che il contribuente, a fronte del pagamento di imposte sostitutive delle imposte sui redditi nella misura ora del 2%, ora del 4%, non ha interesse ad aprire un confronto con l’Agenzia delle Entrate su temi opinabili, privilegiando le soluzioni “sicure”.

L’analisi della giurisprudenza di legittimità e di merito conferma questa affermazione: le pronunce sono poche, spesso contraddittorie, e dunque dalle stesse è arduo trarre elementi di “conforto” alla scelta del trattamento tributario da riservare a determinate operazioni.

Iniziamo da una questione apparentemente risolta: sappiamo cos’è un terreno edificabile? Per tanti anni ne abbiamo discusso, evidenziando la diversità delle definizioni proprie dei singoli comparti impositivi: le imposte dirette in un modo, l’IVA in un altro, le imposte indirette minori in un altro ancora, finché non è arrivato il D.L. n. 223/2006, che, all’art. 36, comma 2, ha stabilito che un’area è da considerare “fabbricabile” se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione da parte della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo.

Come stigmatizzato dalla Corte di Cassazione, la norma ha chiara funzione interpretativa ed è pertanto applicabile anche per le cessioni poste in essere anteriormente al 4.7.2006, data di entrata in vigore del predetto D.L. (Cassazione, Sentenza n. 15282/2008).

E, fin qui, è abbastanza semplice.

I “grattacapi” cominciano ove si rifletta sul fatto che la Corte di Cassazione, a fianco dell’area edificabile “di diritto” (in quanto così qualificata in un piano urbanistico) afferma l’esistenza anche dell’area edificabile “di fatto”, vale a dire l’area che, pur non essendo urbanisticamente qualificata, può nondimeno avere una vocazione edificatoria in quanto potenzialmente edificabile anche al di fuori di una previsione programmatica (Cassazione, Sentenza n. 5166/2013). È una nozione che non può non inquietare e che apre il fronte ad incertezze di ben difficile governo.

Nella Sentenza da ultimo citata, è stata così definita edificabile l’area, pervenuta per successione, inserita nel Piano Regolatore Generale in zona agricola normale sulla quale insistono fabbricati rurali demolendi, destinati alla ricostruzione come fabbricati civili: tale area potrebbe infatti essere qualificata come edificabile di fatto. Ed è una tesi non isolata: in questo senso dispone anche la Sentenza della Cassazione n. 20137/2012.

Altra domanda: ma quanto conta – se conta qualcosa – l’idoneità di un’area ad essere edificata? Dalla lettura della norma, sembrerebbe che ciò che conta sia la qualificazione data al terreno in seno al Piano Regolatore Generale, senza che assuma rilevanza la possibilità di effettiva edificazione; in questo senso si è espressa la CTR Lazio, sez. II, con la Sentenza n. 164/2008. Ma la soluzione non è sicura: ad esempio, con riguardo ai terreni destinati a verde pubblico, dopo varie oscillazioni, la giurisprudenza di merito – CTR Milano, sez. 35, Sentenza n. 71/2013 – e di legittimità – Cassazione, Ordinanza n. 16560/2011 – ha ritenuto che tali terreni, seppure formalmente edificabili, in realtà sono soggetti ad un vincolo che, di fatto, preclude ai privati tutte le trasformazioni del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione.

In altri termini, le aree sprovviste delle possibilità legali di edificazione devono essere equiparate a quelle agricole, come ad esempio accade relativamente alle aree site in fasce di rispetto ferroviario, stradale o autostradale, per le quali sussiste divieto assoluto di edificazione (Cassazione, Sentenza n. 8609/2011).

Ma i pasticci più grossi devono ancora venire …ne parleremo.