9 Novembre 2022

Chiarimenti in materia di trust: quello che la circolare non dice

di Fabrizio RicciGianluca Cristofori
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Dopo oltre un anno dalla diffusione in bozza per la pubblica consultazione, lo scorso 20 ottobre è stata pubblicata la tanto attesa circolare 34/E/2022, avente per oggetto chiarimenti in merito disciplina fiscale dei trust, dalle imposte sui redditi, alle imposte indirette e sulle successioni e donazioni, nonché agli obblighi di monitoraggio fiscale e all’applicazione dell’IVIE e dell’IVAFE.

Tra i numerosi chiarimenti di interesse pratico si segnala, per esempio, quello che riguarda le attribuzioni “informali” ai beneficiari.

L’Agenzia delle Entrate assimila, infatti, tali attribuzioni alle donazioni “indirette”, affermando che, “… ai fini della liquidazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, il soggetto beneficiario destinatario di tali attribuzioni provvederà alla registrazione delle stesse, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 56-bis del d.lgs. 346 del 1990 che prevede, infatti, che «le liberalità di cui al comma 1 possono essere registrate volontariamente, ai sensi dell’articolo 8 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro […]. In tale caso si applica l’imposta con le aliquote indicate all’articolo 56»”.

La registrazione di tali attribuzioni dovrebbe, quindi, costituire una facoltà e non un obbligo per il beneficiario, che potrà, pertanto, legittimamente decidere di non dar corso alla registrazione.

In tale ultimo caso, tuttavia, come precisato dall’Amministrazione finanziaria, si renderebbe nel prosieguo eventualmente applicabile l’aliquota massima (attualmente quella dell’otto per cento) ai sensi dell’articolo 56-bis D.Lgs. 346/1990, “… ove ne ricorrano i presupposti”, ovverosia quando:

a) la donazione indiretta risultasse da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi;

e

b) le liberalità avessero determinato, da sole o unitamente a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore all’importo di 180.759,91 euro.

Con riguardo, invece, all’imposta sulle successioni e donazioni, è stato confermato il recepimento dell’ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione, alla luce del quale la “disposizione” di beni e diritti in trust non dà luogo, di per sé, a un effettivo trasferimento dei medesimi ai beneficiari e, quindi, a un “arricchimento” degli stessi, superando così le indicazioni contenute in taluni precedenti documenti di prassi (circolare 48/E/2007, par. 5.2., 5.3 e 5.5 e circolare 3/E/2008, par. 5.4.2).

Conseguentemente, ciò che costituisce il presupposto impositivo ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni è l’attribuzione ai beneficiari dei beni e diritti “vincolati” in trust.

Sul punto è stato precisato che, “In ordine all’individuazione del momento in cui si realizza l’effettivo trasferimento di ricchezza mediante un’attribuzione “stabile” dei beni confluiti nel trust a favore del beneficiario, occorre far riferimento anche alle clausole statutarie che disciplinano il concreto assetto degli interessi patrimoniali e giuridici dell’istituto in esame. In particolare, è necessario analizzare puntualmente le clausole contenute nell’atto istitutivo e nello Statuto del trust o emergenti da ulteriori documenti. Detta attribuzione stabile, infatti, in linea generale, si verifica all’atto di attribuzione dei beni, formale o meno, dal trustee al beneficiario, ma potrebbe essere rinvenibile anche già all’atto di costituzione o di dotazione del trust, nell’ipotesi in cui i beneficiari individuati (o individuabili) siano titolari di diritti pieni ed esigibili, non subordinati alla discrezionalità del trustee o del disponente, tali da consentire loro l’arricchimento e l’ampliamento della propria sfera giuridico-patrimoniale già al momento dell’istituzione del trust. Si tratta di ipotesi in cui i beneficiari nominativamente o, comunque, inequivocabilmente individuati (o individuabili) abbiano il diritto di ottenere dal trustee, in qualunque momento, sulla base delle clausole dell’atto istitutivo e di eventuali ulteriori disposizioni, il trasferimento di quanto spettante”.

In altri termini, tali diritti determinerebbero un immediato arricchimento dei beneficiari già in conseguenza dell’atto istitutivo, integrando il presupposto impositivo, nel senso delineato dall’orientamento della Corte di Cassazione, con applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni già all’atto della “dotazione” del trust.

Assumendo rilevanza, in linea generale, l’attribuzione ai beneficiari, è coerentemente in tale momento che dovranno essere individuate le aliquote e le franchigie applicabili, previste all’articolo 2, commi 48 e 49 del D.L. 262/2006, sulla base del rapporto di parentela o di coniugio intercorrente tra il disponente e il beneficiario.

In merito, un aspetto che non è stato tuttavia affrontato riguarda la qualificazione dell’attribuzione ai beneficiari quale atto “inter vivos” o “mortis causa”, nel caso in cui il trust fosse istituito per testamento, ovvero “inter vivos”, ma con dotazione effettuata solo al momento della morte del disponente stesso, mediante disposizione testamentaria (cd. “trust testamentario”).

Tale distinzione risulta in molti casi irrilevante ai fini dell’imposizione indiretta, ma potrebbe non essere sempre così, per esempio, con riguardo all’individuazione della franchigia disponibile in ipotesi di pregresse donazioni.

Detta qualificazione potrebbe esplicare, altresì, indirettamente, taluni effetti anche con riguardo alle imposte sui redditi, ai fini dell’individuazione del costo fiscalmente riconosciuto in capo al beneficiario, ove oggetto di dotazione e successiva attribuzione ai beneficiari fossero azioni e/o quote sociali.

Ai sensi dell’articolo 68, comma 6, Tuir, infatti, in caso di trasferimento avvenuto per successione mortis causa, “… si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione, nonché, per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione”, mentre, in caso di trasferimento per donazione, “… si assume come costo il costo del donante”.

Con riguardo al costo fiscale delle partecipazioni opponibile dal trustee in ipotesi di realizzo, in vigenza del trust, è stato solo affermato (dopo che, con la risposta all’istanza di interpello n.401 del 02.08.2022, tale principio era stato invece messo in dubbio) che, qualora il trasferimento dei beni in trust avesse per oggetto titoli partecipativi, il trustee subentra nell’ultimo costo fiscalmente riconosciuto in capo al disponente.

Non è chiaro, però, se tale meccanismo di “subentro” nel costo fiscale operi anche – e in ogni circostanza – in sede di attribuzione dal trustee ai beneficiari, non solo quando la partecipazione loro attribuita fosse la medesima trasferita al trust dal disponente in vita, bensì anche quando tale disposizione in trust fosse intervenuta “mortis causa”, oppure il disponente fosse premorto rispetto al momento dell’attribuzione ai beneficiari, ovverosia l’unico “momento” che assume generalmente rilievo ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, la cui base imponibile assume talvolta rilievo, come detto, anche ai fini della determinazione del costo fiscalmente riconosciuto, a norma del succitato articolo 68, comma 6, Tuir.

Quello di cui sopra rappresenta solo uno dei dubbi che residuano a valle della circolare, non perché non sia apprezzabile lo sforzo interpretativo compiuto dall’Amministrazione finanziaria, bensì solo per il fatto che ben difficilmente si sarebbero potuti affrontare tutti i casi particolari che sono necessaria conseguenza dello strutturale polimorfismo dell’istituto giuridico in questione.

Chi si imbattesse in tali casistiche, quindi, potrà valutare l’opportunità di presentare apposite istanze d’interpello, con conseguente progressivo “riempimento”, alla luce delle relative risposte, dei vuoti inevitabilmente lasciati dal documento di prassi.