26 Gennaio 2022

Avviso di liquidazione: obbligo di motivazione su ciascun atto in esso indicato

di Angelo Ginex
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In tema di accertamento, è invalido per difetto di motivazione l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, dell’imposta di bollo, delle sanzioni sull’imposta di registro e degli interessi su entrambe le imposte, emesso in relazione ad un decreto ingiuntivo e agli ulteriori atti nello stesso enunciati, laddove esso non indichi specificamente per ciascuno atto la base imponibile, le aliquote applicate per l’imposta di registro, gli importi dovuti a titolo di imposta di bollo e gli importi dovuti per interessi sulle relative imposte. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 2039 depositata ieri 25 gennaio.

La vicenda in esame trae origine dalla notifica di un avviso con cui l’Agenzia delle Entrate liquidava l’imposta di registro, l’imposta di bollo, le sanzioni sull’imposta di registro e gli interessi su entrambe le imposte, in relazione ad un decreto ingiuntivo e a tre atti (un contratto preliminare, una scrittura privata di mutuo e un riconoscimento di debito) enunciati nel medesimo decreto.

Tale atto veniva impugnato dal contribuente dinanzi alla competente commissione tributaria provinciale, la quale lo annullava per difetto di motivazione. L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che invece riformava la sentenza gravata, ritenendo detto avviso “adeguatamente motivato”.

Pertanto, il contribuente proponeva ricorso in Cassazione lamentando la violazione dell’articolo 7 L. 212/2000, per non essere stato messo in condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, individuata nel “petitum” e nella “causa petendi”.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente evidenziando come nell’avviso di liquidazione impugnato mancassero dei puntuali riferimenti giuridici e delle puntuali indicazioni sulle somme dovute per ciascun titolo, con la conseguenza che questo non consentiva di comprendere le ragioni della pretesa.

A tal fine, i giudici hanno sottolineato come la motivazione di tale atto si esaurisse semplicemente nella indicazione degli estremi del decreto ingiuntivo e della data dei tre atti enunciativi, nella indicazione cumulativa degli articoli di legge applicati (articoli 5, 22 e 69 D.P.R. 131/1986; articolo 25 D.P.R 642/1972) e degli importi liquidati per ciascuna imposta, nell’indicazione degli importi liquidati complessivamente per le sanzioni e per gli interessi, nella indicazione della somma totale dovuta.

Inoltre, la Suprema Corte ha precisato che la motivazione è un requisito intrinseco dell’atto e che non è ammessa la motivazione postuma (cfr., Cass. Sent. n. 30039/2018), con la conseguenza che non poteva assumere alcuna valenza la produzione documentale da essa effettuata con l’intento di precisare la base imponibile per ciascun atto (decreto ingiuntivo e atti enunciati), le aliquote applicate per l’imposta di registro su ciascun atto, gli importi dovuti a titolo di imposta di bollo per ciascun atto e gli importi dovuti per interessi sulle imposte relative a ciascun atto.

Dunque, i giudici di legittimità hanno preso le distanze dall’orientamento, richiamato nella pronuncia gravata, che configura l’avviso di accertamento quale provocatio ad opponendum, secondo cui la motivazione dell’atto impositivo può sostanziarsi nella sola enunciazione dei criteri astratti sulla base dei quali esso è stato emesso, venendo rimessa alla successiva fase processuale la questione della prova della correlazione astratta e la concreta sussistenza dei fatti fondanti l’accertamento.

Così come precisato nella pronuncia in rassegna, per la quale l’obbligo di motivazione dell’avviso deve essere soddisfatto ab origine, al suddetto orientamento ostano tanto l’articolo 3 L. 241/1990, che correla il dato temporale della motivazione al momento dell’emanazione dell’atto, quanto l’articolo 21-octies della medesima legge, il cui contenuto non è certamente riferibile all’atto tributario non motivato (cfr., Cass. Ord. n. 34407/2019; Cass. Sent. n. 4388/2019).

Per tali ragioni, quindi, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata ed ha accolto il ricorso originario del contribuente, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto.