15 Luglio 2022

Aumenti prezzi nei contratti pubblici con Iva

di Roberto Curcu
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Le somme che le imprese titolari di appalti pubblici possono chiedere alle stazioni appaltanti, a compensazione degli aumenti dei prezzi dei materiali, dovranno essere fatturate con Iva, con la stessa aliquota della prestazione principale.

Questo è il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 39/E/2022, dopo che una precedente risposta ad interpello (mai pubblicata, ma commentata da importanti associazioni di categoria), sembrava lasciar propendere per una esclusione da Iva di tale somma. Il tema della questione è il seguente.

Il codice dei contratti pubblici non contiene disposizioni relative alla revisione prezzi o meccanismi civilistici quali la eccessiva onerosità sopravvenuta, e conseguentemente gli aumenti prezzi che si sono verificati avrebbero impedito a molte imprese di rendersi adempienti nei contratti in corso, stipulati in base a gare di appalto effettuate magari molto tempo fa, con una situazione di prezzi completamente differente.

Per fronteggiare tale emergenza, il legislatore ha istituito un fondo in capo al Ministero delle Infrastrutture, il quale deve poi erogare le risorse alle varie stazioni appaltanti, le quali, a loro volta, devono corrispondere tali risorse alle imprese appaltatrici, a titolo di adeguamento prezzi.

Ancora a gennaio il Ministero delle Infrastrutture presentò una istanza di interpello, chiedendo se le somme che doveva girare alle stazioni appaltanti dovessero essere soggette ad Iva, ritenendo che nel caso specifico si fosse in presenza di un indennizzo e pertanto la applicazione dell’imposta era da escludersi.

Dal quesito che viene riassunto nell’istanza di interpello, non è chiaro quale sia la domanda, ma a logica due sono i quesiti, posto che due sono le transazioni interessate, ed in particolare il rapporto tra l’impresa appaltatrice e la stazione appaltante, e quello tra la stazione appaltante e il Ministero, che deve girare i fondi per compensare l’aumento prezzi.

In sostanza, se l’aumento prezzi su un appalto assoggettato ad Iva del 10% è stato di 100, il Ministero deve girare alla Stazione appaltante 100, o 110?

Chiaramente, la soluzione a tale quesito presuppone che sia chiarito se l’impresa appaltatrice dovrà emettere alla stazione appaltante una fattura di 100 + Iva, o se l’importo di 100 deve considerarsi escluso da imposta.

Ancora nel mese di marzo l’Agenzia delle Entrate “rispose” all’interpello, ma – non ne sono chiari i motivi – non fornì una risposta che consentiva di inquadrare correttamente la fattispecie, posto che si limitò a precisare che non sussistendo una cessione di beni o una prestazione di servizi tra la stazione appaltante ed il Ministero, la prima non doveva emettere fattura con Iva al secondo.

Il fatto è che la questione era un’altra, ed a tale questione non fu data risposta.

Probabilmente in base al fatto che se l’Agenzia non risponde alle istanze di interpello, o risponde a domande diverse da quelle che sono state poste, si forma silenzio assenso, ne uscì un orientamento per cui l’impresa non doveva emettere fatture con Iva alle stazioni appaltanti, a fronte dell’incremento prezzi; infatti, come è riassunto nell’interpello, il Ministero istante riteneva che le somme costituiscono un indennizzo da riconoscere all’appaltatore, e non si è in presenza di un riallineamento contrattuale.

Tale situazione generò non poca confusione. Molte imprese emettevano fatture senza Iva, che venivano accettate dalle pubbliche Amministrazioni.

Altre imprese, a fronte di indicazioni dei loro consulenti, emettevano comunque fatture con Iva, che magari venivano scartate dalle pubbliche Amministrazioni, o, in altri casi, alcune imprese emettevano fatture senza Iva ed altre pubbliche Amministrazioni si interrogavano del motivo per cui non ci fosse l’imposta.

Ora, nella risoluzione 39/E/2022 l’Agenzia, dopo aver ribadito che le stazioni appaltanti non emetteranno fatture al Ministero, precisa ulteriormente che “Per quanto concerne la successiva corresponsione delle somme dalla stazione appaltante all’appaltatore, si ritiene che le stesse assumano natura di integrazione dell’originario corrispettivo stabilito per l’esecuzione dell’opera o del servizio e come tale risultano rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, secondo le modalità e l’aliquota già previste per l’originario contratto di appalto. Al riguardo, l’articolo 13 del d.P.R. n. 633 del 1972, sopra richiamato, che sancisce il principio di onnicomprensività del corrispettivo, dispone che la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali ” aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”.

Ora è chiaro, a parere di chi scrive, che vi siano le condizioni di non punibilità per quelle imprese che hanno originariamente emesso le fatture senza Iva, e solo a seguito della pubblicazione della risoluzione emetteranno la nota di variazione di sola Iva.