28 Gennaio 2017

Semplificati e regime per cassa: proviamo con meno pregiudizi?

di Comitato di redazione
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Nel corso della giornata del Master Breve nella quale si analizzano le novità della legge di Bilancio 2017, non vi è ombra di dubbio su quale sia stato l’argomento mattatore: la nuova contabilità semplificata per cassa.

Lo testimoniano i tanti quesiti ricevuti che, molto spesso, valutano la novità in relazione agli aggravi che ne possono derivare e che vanno nella direzione di porre in essere dei veri e propri tentativi di fuga dal nuovo regime. Parliamo di vera e propria fuga, a significare il fatto che le valutazioni ritengono improponibile il regime per talune attività, tenute anche in considerazione le abitudini dei clienti.

Complici di queste prime impressioni sono, a nostro giudizio, alcune complicazioni che emergono da un testo normativo certamente perfettibile; ci pare però che molte nubi possano essere scacciate dal cielo con un minimo sforzo. Proviamo a soffiare assieme.

Quale è la ratio che si voleva perseguire con l’intervento normativo? Quella di consentire ai piccoli operatori di non versare imposte sui ricavi formalmente conseguiti, cui non si accompagnava un incasso corrispondente (questo accadeva ed accade frequentemente quando si applica la competenza).

Proviamo allora a ragionare usando questa leva principale: sia pure in modo non indenne da necessari sforzi, trattasi di una sorta di incentivo all’adempimento puntuale dei pagamenti. Ove tutti fossero puntuali, allora, ci sarà qualcuno che tasserà e qualcun altro che dedurrà il costo, in perfetta sintonia con il flusso dei pagamenti.

Ora, se questo è il punto di partenza, aggiungiamo una ulteriore considerazione: tale incentivo alla puntualità dei pagamenti interessa l’intera sfera dell’impresa, ovvero solo alcuni comparti di essa?

Qui interviene la struttura dell’articolo 66 del Tuir che, così come riformulato, dà proprio l’impressione di volere limitare la “dimensione” incassi – pagamenti al vero e proprio core business dell’attività. In brutale sintesi, l’attività primaria (incassi e pagamenti) va misurata con il ritmo di cassa, mentre quelle collaterali vanno gestite con le vecchie abitudini della competenza.

Questa partizione corrisponde non certo ad un dogma concettuale e/o teorico, ma semplicemente alla circostanza secondo la quale la limitazione dei confini delle movimentazioni per cassa corrisponde anche ad una limitazione agli oneri di “prima nota” del soggetto. A dire che, meno sono le poste che vanno osservate nella dimensione finanziaria, meno sono gli obblighi di monitoraggio.

Si pensi al caso del soggetto che volesse gestire la contabilità della propria impresa con il dei metodi ammissibili, quello cioè che permette di annotare a fine anno i sospesi di incassi e pagamenti. Dovremmo essere concordi nel dire che meno sono le poste da “studiare” meno saranno le annotazioni di fine anno. E qui superiamo assieme i pregiudizi: siamo davvero convinti che anche il nostro peggior cliente disordinato e disattento alla dimensione “cartolare” non sappia quanto ancora deve incassare dai proprio clienti e quanto ancora deve pagare ai propri fornitori “primari”?

Tutto il resto (o quasi) continuerebbe a viaggiare con le regole della competenza da sempre utilizzate; ciò a condizione che sia vera (come crediamo) la lettura che proponiamo in questa sede.

Sempre senza pregiudizi, potrà allora accadere che ci siano molte posizioni che potranno essere gestite con assoluta tranquillità. D’altro canto, non dobbiamo nemmeno farci assalire dall’ansia che tutti i nostri clienti siano degli irresponsabili ed incapaci.

Sarà davvero così pericoloso farci dichiarare i sospesi “tipici” di fine anno?

Onestamente, vediamo poche differenze rispetto alla dichiarazione dei valori di magazzino, che da tempo immemore inseriamo nei registri e nella dichiarazione dei redditi.

Il sistema, peraltro, contiene anche un rimedio che può consentire “in radice” di sfuggire al monitoraggio finanziario; si tratta dell’opzione per la “finzione” di avvenuto incasso e pagamento in corrispondenza delle annotazioni ai fini IVA (possibilità che sarà bene venga confermata – anche in via interpretativa – anche per quelle situazioni nelle quali non vi è un obbligo di registrazione per le operazioni fuori campo).

Ciò consente di lasciare sostanzialmente tutto inalterato, se non fosse per l’argomento rimanenze, che comunque deve essere gestito (per tutti) con deduzione integrale nel 2017 e successiva “scomparsa”, valendo la deduzione immediata del costo al momento del pagamento (anche fittizio, se coincidente con la registrazione). Il promesso correttivo del possibile riporto delle perdite fiscali che si determinano con l’imputazione di cui sopra dovrebbe risolvere il problema. Manca anche una necessaria generale sensibilizzazione del sistema creditizio che si troverà ad analizzare situazioni di perdita che non sono patologiche, ma semplicemente “figlie” del cambio di passo (si può fare).

Allora ci pare che, dopo un primo momento di turbolenza, si possa ipotizzare di uscire dall’impasse con un approccio pragmatico e concreto: la cassa solo per le operazioni “tipiche”, la competenza per tutto il resto.

Si tratta allora di definire in modo preciso il limite tra ciò che è tipico e ciò che non lo è; necessita infatti un ultimo “cesello” che meglio inquadri i commi da 1 a 3 dell’articolo 66 del Tuir con i necessari addentellati.

Se si prova a tracciare un bilancio, siamo certi che il differenziale può essere – con un piccolo sforzo che non deve tardare da parte dell’Amministrazione finanziaria – positivo.

Vedremo quale sarà l’esperienza pratica e proveremo a fare un bilancio più sereno, senza lasciarsi trascinare dalla voglia di boicottare tutto a prescindere.

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