4 Maggio 2018

Rivalsa dell’Iva post accertamento per le importazioni

di Marco Peirolo
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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8473/2018, ha affermato che, in virtù del principio di unicità dell’Iva (all’importazione e interna), l’Ufficio doganale non può pretendere il pagamento dell’Iva all’importazione non assolta sulle royalties in sede di introduzione dei beni in Italia se le stesse sono state assoggettate ad imposta con la procedura di reverse charge.

Tale conclusione discende dalla sentenza Equoland (causa C-272/13 del 17 luglio 2014), con la quale la Corte di giustizia ha escluso il diritto della Dogana di esigere il pagamento dell’Iva all’importazione relativa ai beni non introdotti materialmente nel deposito Iva se già assoggettati ad imposta con il meccanismo dell’inversione contabile.

La Cassazione, nell’estendere il risultato raggiunto dai giudici comunitari alle controversie riguardanti le royalties, supera le indicazioni dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che nella circolare 16/D/2014 (§ 3.1. e 3.2) ha espressamente circoscritto la portata dei princìpi contenuti nella sentenza Equoland alla specifica fattispecie trattata, cioè alla disciplina del deposito Iva, escludendo l’applicazione generalizzata delle statuizioni della Corte europea a situazioni diverse dall’istituto del deposito Iva.

I giudici dell’Unione, più specificamente, hanno affermato che, nei limiti in cui non sussiste né evasione né tentativo di evasione, la parte della sanzione consistente nel richiedere un nuovo pagamento dell’Iva già assolta, senza che tale secondo pagamento conferisca un diritto a detrazione, non può considerarsi conforme al principio di neutralità dell’Iva. Sono, quindi, contrarie al diritto della UE le disposizioni nazionali che prevedono il pagamento dell’Iva all’importazione quando quest’ultima sia stata già regolarizzata dall’importatore mediante il sistema dell’inversione contabile, senza che allo stesso venga riconosciuto, nel contempo, il diritto alla detrazione dell’imposta medesima.

Al riguardo, nella circolare 16/D/2014 (§ 2.2), l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha osservato che il rischio di una doppia imposizione non sussiste con specifico riguardo all’Iva dovuta in sede di importazione, in quanto – con la riformulazione dell’articolo 60, comma 7, D.P.R. 633/1972 ad opera dell’articolo 93 D.L. 1/2012 – il principio della neutralità dell’imposta è garantito anche nel caso in cui la maggiore Iva sia liquidata in sede di revisione dell’accertamento doganale.

Come, infatti, precisato dalla circolare 35/E/2013 (§ 3.2), “il termine per esercitare la detrazione decorre dal pagamento della maggiore imposta accertata dall’Agenzia delle Dogane in capo all’importatore”, siccome “nelle importazioni (…), l’imposta relativa agli acquisti non è addebitata all’importatore in via di rivalsa ma è versata direttamente da quest’ultimo, pertanto, il diritto alla detrazione deve essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui l’importatore, debitore d’imposta, ha provveduto al pagamento dell’imposta, della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi”.

Alla luce di tale indicazione, nella circolare 16/D/2014 (§ 2.2) si conclude affermando che, “essendo stato ripristinato sotto ogni profilo il principio di neutralità dell’Iva, le vigenti disposizioni nazionali in materia di diritto alla detrazione dell’Iva non sono in contrasto con quelle comunitarie”.

Fermo restando che, con l’intervento della Corte di Cassazione, le pretese dell’Ufficio doganale dovranno essere ridimensionate anche con riguardo alle royalties, è il caso di osservare, conclusivamente, che è dubbia la previsione dell’articolo 60, comma 7, D.P.R. 633/1972 nella parte in cui subordina l’esercizio della detrazione da parte del soggetto rivalsato all’avvenuto pagamento dell’imposta al soggetto accertato.

La Corte di giustizia (cause riunite C-439/04 e C-440/04 del 6 luglio 2006 e cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03 del 12 gennaio 2006) ha affermato che “è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di dedurre l’Iva pagata a monte, stabilire se l’Iva dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all’erario”.

In pratica, gli effetti del rapporto tra il fornitore e l’Erario non possono estendersi, a valle, nel rapporto tra il fornitore ed il suo cliente, dal momento che a quest’ultimo deve essere riconosciuto il diritto alla detrazione indipendentemente dalla circostanza che l’imposta sia stata previamente o contestualmente corrisposta, dal fornitore, all’Erario.

Tale conclusione, che ha formato oggetto di una specifica censura da parte dell’AIDC, trova conferma nella recente sentenza Biosafe (causa C-8/17 del 12 aprile 2018), con la quale la Corte UE, proprio in riferimento alla rivalsa post accertamento, ha affermato che, in capo al soggetto rivalsato, il diritto di detrazione, già sorto sotto il profilo dell’an, non può essere retroattivamente modificato in riferimento al quantum se la fattura originaria riporta un’imposta inferiore a quella dovuta, con ciò mettendo in luce che la detrazione non dipende dal pagamento dell’imposta al soggetto accertato, ma dalla regolarizzazione dell’operazione da parte di quest’ultimo.

Allo stesso modo, nelle importazioni, in cui sussiste un rapporto diretto tra il cliente (importatore) e l’Erario, è illegittimo subordinare l’esercizio della detrazione al pagamento dell’imposta. La Corte di giustizia (causa C-414/10 del 29 marzo 2012) ha, infatti, affermato che, in base alla normativa comunitaria, per le importazioni, “il diritto alla detrazione dell’imposta di cui beneficia il soggetto passivo riguarda non soltanto l’Iva che ha versato, ma anche l’Iva dovuta, vale a dire quella che deve essere ancora pagata”.

 

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