5 Luglio 2018

Riunioni “domestiche” dei manager senza stabile organizzazione Iva

di Davide Albonico
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La mera esistenza di una sede di direzione non è sufficiente per poter ritenere sussistente una stabile organizzazione ai fini Iva.

Queste, in sintesi, le conclusioni a cui è giunta la Corte di Cassazione, con le sentenze nn. 12237 e 12240 del 18.05.2018.

Sebbene, difatti, le nozioni di stabile organizzazione ai fini delle imposte dirette e di centro di attività stabile ai fini Iva sono parzialmente sovrapponibili, per determinare l’esistenza di quest’ultima, come da insegnamento della Corte di Giustizia, è comunque necessaria la presenza permanente dei mezzi umani e materiali necessari per le prestazioni di servizi.

Ripercorrendo i fatti di causa, le controversie traggono origine da due differenti verifiche fiscali relative agli anni 2002 e 2003. In particolare l’Agenzia delle entrate, ritenendo sussistente in Italia una stabile organizzazione Iva di un consorzio avente sede legale in Francia, sul presupposto che le riunioni di alcuni manager del consorzio stesso si fossero tenute sul territorio nazionale, intendeva recuperare a tassazione l’Iva non versata sulle operazioni compiute dai consorziati nazionali in favore del consorzio francese. Ciò sulla base dell’assunto, ex articolo 7, comma 4, D.P.R. 633/1972, che tali operazioni fossero rilevanti territorialmente in Italia essendo state realizzate non nei confronti di un soggetto estero bensì di una sua stabile organizzazione in Italia.

La Commissione tributaria provinciale di Torino accoglieva entrambi i ricorsi presentati dalle società istanti sulle singole annualità, decisioni che venivano confermate anche in secondo grado dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte.

Avverso tali decisioni l’Agenzia delle entrate ricorreva in Cassazione lamentando l’errata interpretazione del giudice d’appello nel ritenere che la nozione di “stabile organizzazione” rilevante ai fini delle imposte dirette, ai sensi dell’articolo 162 Tuir, così come ricavata anche dall’articolo 5 del modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, fosse diversa dalla nozione di “centro di attività stabile” ex articolo 7, comma 4, lett. d), D.P.R. 633/1972 rilevante ai fini Iva. Secondo l’Amministrazione finanziaria difatti le due nozioni sarebbero sostanzialmente sovrapponibili.

Le conclusioni dei giudici della Corte di Cassazione sono però differenti. Nel rigettare entrambi i ricorsi presentati dall’Agenzia delle entrate, la Suprema Corte ha escluso la sussistenza sul territorio italiano di una stabile organizzazione Iva per il solo fatto che le riunioni di alcuni manager, italiani residenti in Italia, del consorzio transalpino fossero avvenute sul territorio nazionale.

In via preliminare, i giudici di legittimità hanno chiarito che la nozione di una stabile organizzazione Iva va sì desunta dall’articolo 5 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni e dal suo Commentario, ma al tempo stesso va integrata, al fine di individuare un cd. centro di attività stabile, con i requisiti prescritti dall’articolo 9 della Sesta direttiva CEE n. 77/388 del Consiglio del 17 maggio 1977, come interpretata nel tempo dalla Corte di Giustizia, che, nel tentativo di colmare il vuoto normativo, ha cercato di meglio definire e identificare il concetto di stabile organizzazione ai fini Iva rispetto a quello ai fini delle imposte dirette (sentenza 6 febbraio 2014, causa C-323/12; sentenza 7 maggio 1998, causa C-390/96; sentenza 17 luglio 1997, causa C-190/95) e dalla stessa Corte di Cassazione (sentenza n. 10925 del 25.07.2012).

Per una corretta ricostruzione normativa della fattispecie, va difatti evidenziato come il concetto di stabile organizzazione ai fini Iva non aveva trovato alcuna collocazione nell’impianto normativo comunitario fino all’emanazione del Regolamento UE 282/2011, di attuazione alla Direttiva n. 2006/112/CE.

In particolare, ai sensi dell’articolo 11 del citato Regolamento, una “branch Iva” consiste in una “qualsiasi organizzazione, …, caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione … consentirle di fornire i servizi di cui assicura la prestazione …”.

Ritornando al caso di specie, secondo i Supremi giudici, l’esistenza in Italia di una sede di direzione del Consorzio transalpino non costituisce circostanza idonea ad integrare, ex articolo 7 D.P.R. 633/1972, il presupposto per l’imponibilità delle prestazioni rese allo stesso dai consorziati.

A tale riguardo, la prova della sussistenza di una stabile organizzazione Iva, che può essere desunta da elementi indiziari quali l’identità delle persone fisiche che agiscono per l’impresa straniera e per quella nazionale e dalla partecipazione degli stessi a trattative o alla stipulazione dei contratti, non è soddisfatta, a parere dei giudici della Suprema Corte, per il solo fatto che alcuni manager dell’ente estero si siano riuniti sul territorio nazionale, venendo a mancare quella componente di apporto umano e tecnico dotata di un certo grado di stabilità per lo svolgimento autonomo delle funzioni dell’ente straniero.

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