5 Ottobre 2016

Nuove regole per il personale distaccato in Italia da Paesi UE

di Nicola Fasano
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Nell’ambito della mobilità internazionale dei lavoratori, un ruolo di primo piano è rivestito dall’istituto del distacco tramite cui un dipendente viene “prestato”, per un determinato periodo di tempo, dall’impresa distaccante (con cui è instaurato l’originario rapporto di lavoro) a quella distaccataria che beneficia della prestazione lavorativa del dipendente in questione. Tale fattispecie si configura in particolare fra imprese consociate, spesso appartenenti al medesimo gruppo.

Sotto il profilo fiscale, il dipendente fiscalmente residente in Italia distaccato all’estero è soggetto a tassazione in Italia generalmente sulla base delle c.d. “retribuzioni convenzionali” di cui all’articolo 51, comma 8-bis, Tuir, in quanto solitamente ne soddisfa le relative condizioni temporali (esercizio a titolo esclusivo dell’attività lavorativa all’estero per più di 183 giorni nell’arco di dodici mesi). Viceversa i dipendenti di società straniere distaccate presso le loro consociate italiane, sono assoggettati a tassazione su base “analitica” nel senso che si applicano le regole ordinarie del reddito di lavoro dipendente di cui ai commi da 1 a 8 del medesimo articolo 51, Tuir, non potendosi applicare la disciplina dettata dal comma 8-bis prevista per i soli  lavoratori “all’estero”, seppur tale aspetto appare censurabile, soprattutto in ambito europeo, in quanto discriminatorio e lesivo, fra l’altro, del principio di libera circolazione dei lavoratori.

Ciò detto, va sottolineato come, ancor prima delle tematiche di natura fiscale, che vanno preventivamente pianificate, in merito al distacco sorgono problematiche anche di natura giuslavoristica e previdenziale che non vanno affatto sottovalutate. Soprattutto dopo che con riferimento ai lavoratori distaccati da Paesi UE in Italia è entrato in vigore, dallo scorso 22 luglio, il D.Lgs. 136/2016 attuativo delle disposizioni della Direttiva europea 2014/67/UE.

In particolare, il decreto si applica:

  • alle imprese stabilite in un altro Stato membro che, nell’ambito di una prestazione di servizi, distaccano in Italia uno o più lavoratori in favore di un’altra impresa, anche appartenente allo stesso gruppo, o di un’altra unità produttiva o di un altro destinatario, a condizione che durante il periodo del distacco, continui a esistere un rapporto di lavoro con il lavoratore distaccato;
  • alle agenzie di somministrazione di lavoro stabilite in un altro Stato membro che distaccano lavoratori presso un’impresa utilizzatrice avente la propria sede o un’unità produttiva in Italia.

Peraltro, la definizione di “lavoratore distaccato” fornita dall’articolo 2 del decreto è molto ampia definendo come tale “il lavoratore abitualmente occupato in un altro Stato membro che, per un periodo limitato, predeterminato o predeterminabile con riferimento ad un evento futuro e certo, svolge il proprio lavoro in Italia”.

Viene inoltre sancito che al rapporto di lavoro tra le imprese interessate e i lavoratori distaccati si applicano, durante il periodo del distacco, le medesime condizioni di lavoro e di occupazione previste per i lavoratori che effettuano prestazioni lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui si svolge il distacco.

Al fine inoltre di contrastare il fenomeno della fittizia allocazione di un datore di lavoro in stati dell’Unione europea con regimi contributivi meno rigorosi di quello italiano sono dettate una serie di disposizioni stringenti per appurare l’autenticità del distacco.

In particolare, l’articolo 3 del decreto prevede che al fine di accertare se l’impresa distaccante eserciti effettivamente attività diverse rispetto a quelle di mera gestione o amministrazione del personale dipendente sono valutati una serie di elementi fra cui:

  • il luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale e amministrativa, i propri uffici, reparti o unità produttive;
  • il luogo in cui l’impresa è registrata alla Camera di commercio;
  • il luogo in cui i lavoratori sono assunti e quello da cui sono distaccati;
  • il luogo in cui l’impresa esercita la propria attività economica principale e in cui risulta occupato il suo personale amministrativo;
  • il numero dei contratti eseguiti o l’ammontare del fatturato realizzato dall’impresa nello Stato membro di stabilimento, tenendo conto della specificità delle piccole e medie imprese e di quelle di nuova costituzione.

Inoltre, al fine di accertare se il lavoratore è “veramente” distaccato gli organi ispettivi devono valutare fra l’altro:

  • il contenuto, la natura e le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e la retribuzione del lavoratore;
  • la circostanza che il lavoratore eserciti abitualmente la propria attività nello Stato membro da cui è stato distaccato;
  • la temporaneità dell’attività lavorativa svolta in Italia;
  • la circostanza che il lavoratore sia tornato o si preveda che torni a prestare la sua attività nello Stato membro da cui è stato distaccato;
  • la circostanza che il datore di lavoro che distacca il lavoratore provveda alle spese di viaggio, vitto o alloggio;
  • eventuali periodi precedenti in cui la medesima attività è stata svolta dallo stesso o da un altro lavoratore distaccato;
  • l’esistenza del certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale

Nelle ipotesi in cui il distacco in favore di un’impresa stabilita in Italia non risulti autentico, il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione.

In tali casi il quadro sanzionatorio è particolarmente pesante: il distaccante e il soggetto che ha utilizzato la prestazione dei lavoratori distaccati sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. In ogni caso l’ammontare della sanzione non può essere inferiore a 5.000 euro né superiore a 50.000 euro.

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