28 Luglio 2023

Liti pendenti e pignoramento

di Arianna Semeraro
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La scheda di FISCOPRATICO

Con la pubblicazione del nuovo modello, il 5 luglio sono state rese operative le novità introdotte in materia dalla legge di conversione del Decreto Bollette che aveva già:

  • modificato l’originario termine entro il quale versare la prima rata dal 30 giugno al 30 settembre 2023;
  • introdotto l’opzione per la rateazione mensile;
  • modificato il calendario dei versamenti delle prime tre rate: le nuove deadline sono 30 settembre 2023, 31 ottobre 2023 e 20 dicembre 2023.

Entro il prossimo 30 settembre, per ciascuna controversia tributaria autonoma va presentata in via telematica all’Agenzia delle entrate una distinta domanda di definizione.

Entro lo stesso termine va inoltre versato l’intero importo dovuto o la prima rata. Il pagamento rateale (ammesso per cifre superiori a 1.000 euro) può avvenire in un massimo di 20 rate di pari importo con una rateizzazione trimestrale per le rate successive alle prime 3.

In alternativa, sempre dopo aver versato le prime 3 rate, è possibile saldare il dovuto in 51 mensilità, a partire da gennaio 2024 (per un totale di 54 rate).

Le controversie tributarie in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti al 1° gennaio 2023 in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite con il pagamento di un importo uguale o inferiore al valore della controversia – determinato a seconda dello stato in cui si trova il processo e dell’eventuale soccombenza delle parti –  costituito dall’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato. In caso di controversie relative alla sola irrogazione di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.

A tal proposito nel comunicato stampa del 5 luglio u.s. con il quale viene pubblicato il nuovo modello, l’Agenzia delle entrate coglie l’occasione per fare la seguente precisazione: “Possono essere definite le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria, in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, pendenti al 1° gennaio 2023 in ogni stato e grado del giudizio. Si considerano pendenti le liti il cui atto introduttivo del giudizio in primo grado sia stato notificato alla controparte entro il 1° gennaio di quest’anno e per le quali, alla data di presentazione della domanda, il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva”.

Queste non sono però le sole novità che hanno ancora una volta interessato l’istituto in parola. L’avvicendarsi della predisposizione delle istanze ha fatto emergere numerosi interrogativi in capo ai contribuenti e ai loro intermediari interessati dal dover definire in maniera corretta e adeguata l’ammontare dovuto per la definizione della lite.

Come noto, una volta individuata la modalità di definizione e dunque la percentuale applicabile, occorre poi da tale importo “lordo” scomputare quanto già versato dal contribuente in pendenza di giudizio.

Sul tema, un caso molto interessante è stato sollevato da un contribuente mediante apposita istanza di interpello a cui l’Agenzia riscontra con la risposta n. 349 del 19 giugno scorso.

L’istante faceva presente che, nelle more del procedimento, con cartella di pagamento emessa all’esito del giudizio di secondo grado, l’Agente della riscossione richiedeva il pagamento delle somme dovute in esecuzione della sentenza della Commissione tributaria regionale.

Successivamente, sempre l’Agente della riscossione notificava un atto di pignoramento presso terzi nei confronti di un istituto bancario, in ragione del rapporto di conto corrente intrattenuto dall’istante presso tale banca, ottenendo dal terzo pignorato il versamento integrale delle somme iscritte a ruolo, ancorché l’istante non avesse acconsentito a procedervi.

Secondo l’istante il pagamento del terzo non rileva al fine di determinare le somme dovute a titolo di definizione trattandosi di un pagamento che non è stato fatto dal debitore/contribuente, ma da un terzo (nella specie, la banca) compulsato a pagare da Agenzia entrate riscossione.

Dunque, per il contribuente la circostanza che il pagamento fosse stato effettuato da un soggetto diverso dal debitore rendeva non considerabile tale somma ai fini del computo del dovuto per la definizione.

Tale prospettata soluzione viene drasticamente smentita dall’Agenzia delle entrate che, diversamente, ritiene il pagamento effettuato dal terzo tramite PPT considerabile ai fini del calcolo dell’importo netto dovuto per la definizione, a condizione che il pagamento così effettuato e dunque il relativo atto di pignoramento sia specificatamente riferibile al medesimo debito tributario oggetto della controversia che si intende definire.

Afferma testualmente l’Agenzia: “Con riferimento alle ”somme scomputabili” dagli importi dovuti ai fini della definizione in parola, restano valide le indicazioni fornite con la circolare 1° aprile 2019, n. 6/E

(…)

Al paragrafo 5.2 di tale documento di prassi si precisa che, «Possono essere scomputati tutti gli importi di spettanza dell’Agenzia delle entrate pagati, in particolare, a titolo provvisorio per tributi, sanzioni amministrative, interessi, sempre che siano ancora in contestazione nella lite che si intende definire».

Pertanto, lo scomputo, ammesso espressamente dal comma 196 con riferimento alle somme versate “a qualsiasi titolo”, si intende comprensivo di tutti gli importi pagati ­ di spettanza dell’ente creditizio ed ancora in contestazione ­ ancorché, dunque, il pagamento non sia stato eseguito direttamente da debitore o per suo conto e, conseguentemente, anche delle somme versate dal terzo pignorato, come nel caso di specie, in ottemperanza alla richiesta dell’Agente della riscossione”.