31 Ottobre 2023

L’illegittimità dell’atto impositivo notificato prima dei 60 giorni

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Nell’ambito dell’accertamento tributario, una questione di assoluta rilevanza è rappresentata dall’illegittimità dell’avviso di accertamento notificato al contribuente prima del decorso dei 60 giorni previsti dalla consegna del processo verbale di constatazione da parte degli organi accertatori.

A tale proposito, si osserva che l’articolo 12, comma 7, L. 212/2000 (Statuto dei Diritti del Contribuente), rubricato “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”, prevede che: “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

La norma citata, come si evince, introduce nell’ordinamento una particolare e concreta forma di “collaborazione” tra amministrazione e contribuente, attraverso la previsione di un termine dilatorio di 60 giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza, e salvo precise eccezioni, l’atto impositivo – come la norma prescrive – “non può essere emanato”: tale intervallo temporale è destinato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente alla (eventuale) emissione del provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale.

Sul punto, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18184/2013, ha precisato che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’articolo 12, comma 7, L. 212/2000, “deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio della propria attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.

Tale principio è stato ripreso e ribadito, in più occasioni, anche dalla giurisprudenza recente, sottolineando come il contraddittorio procedimentale abbia assunto un valore sempre maggiore, quale strumento volto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva.

Ne deriva che, a fronte di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnare l’avviso per il solo vizio della violazione del termine. Spetterà, quindi, all’Ufficio, l’onere di provare la sussistenza (all’epoca) del requisito esonerativo dal rispetto del termine e, dunque, in definitiva, al Giudice, a seguito del dibattito processuale (e senza, perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione del diritto di difesa), stabilire l’esistenza di una valida e “particolare” – cioè specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione – ragione di urgenza, idonea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento.

In altre parole, tali considerazioni, riprese e ribadite anche dalle recente sentenza n. 21517/2023 della Corte di Cassazione, consentono di giungere alla determinazione del principio per cui l’inosservanza del termine dilatorio prescritto dall’articolo 12, comma 7, L. 212/2000, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni (che l’Ufficio è tenuto a valutare, come la norma prescrive), e cioè di attivare, e coltivare, il contraddittorio procedimentale.