3 Aprile 2024

Le scritture contabili utilizzabili dal contribuente se conservate anche oltre il termine decennale

di Debora Mirarchi
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La scheda di FISCOPRATICO

Il tema della conservazione dei documenti di natura fiscale e contabile ha sempre sollevato difficoltà di non poco conto, in ragione del coacervo di norme civilistiche e fiscali astrattamente applicabili.

Come noto, il primo riferimento normativo sul tema è rappresentato dalle disposizioni di matrice civilistica, di cui all’articolo 2220, cod. civ., a norma del quale le scritture e, in generale, i documenti devono essere conservati per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione.

Con specifico riguardo alla materia fiscale, l’articolo 22, comma 2, D.P.R. 600/1973, stabilisce che fino a quando non sono definiti gli accertamenti, relativi al corrispondente periodo d’imposta, le scritture contabili devono essere conservate, anche oltre il termine decennale previsto dall’ articolo 2220, cod. civ..

La questione è disciplinata, da una diversa angolazione, dall’articolo 8, L. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), il cui comma 5, è stato di oggetto dei “correttivi” apportati dalla recente riforma fiscale (D.Lgs. 219/2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3.1.2024).

L’attuale formulazione della prefata norma, in vigore dallo scorso gennaio, in parziale modifica del “vecchio” disposto, conferma il limite decennale per l’osservanza dell’obbligo di conservazione di atti, documenti e scritture contabili e introduce il medesimo termine anche per l’utilizzazione della documentazione.

Le modifiche concretizzano il dichiarato intento, che anima l’intera riforma fiscale, di certezza nei rapporti fra Fisco e contribuente, laddove all’articolo 17, comma 1, lett. h), n. 1, L. 111/2023, stabilisce la “decorrenza del termine di decadenza per l’accertamento a partire dal periodo di imposta nel quale si è verificato il fatto generatore per i componenti a efficacia pluriennale, e la perdita di esercizio per evitare un’eccessiva dilatazione di tale termine nonché di quello relativo all’obbligo di conservazione delle scritture contabili”.

La portata innovativa dei “correttivi” introdotti dalla novella si riassume essenzialmente nella previsione di un più ampio obbligo di conservazione della documentazione fiscale, esteso oltre che agli atti e ai documenti anche alle scritture contabili e alla precisazione (è questo l’elemento di maggior rilievo) secondo cui il già previsto termine decennale, opera anche con riferimento alla utilizzazione di tali documenti.

Ciò significa che, in forza del novellato quadro normativo, il contribuente è tenuto a rispettare l’obbligo di conservazione dei documenti e degli atti e ora anche delle scritture contabili per dieci anni, ma significa anche che l’Amministrazione finanziaria, oltre tale finestra temporale non può fondare la propria pretesa sulle risultanze che emergono da documentazione relativa ad annualità troppo “indietro” nel tempo.

All’indomani dell’entrata in vigore di tale norma, l’applicabilità della novella è stata posta al vaglio della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 4638/2024, si è espressa in relazione a una specifica questione afferente alla fruibilità di un vantaggio fiscale da parte del contribuente.

Al fine di delimitare un più chiaro orizzonte fattuale sul quale si è espressa la Suprema Corte di cassazione, propedeutico alla corretta comprensione del principio sotteso alla decisione, occorre rilevare come, nel caso specifico, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria non riguardava o non si fondava su documentazione non più in possesso del contribuente, perché ultradecennale, ma aveva a oggetto un vantaggio fiscale la cui fruibilità, invocata dal beneficiario, non poteva essere provata in giudizio per mancanza di documentazione contabile ritenuta dall’Ente impositore indispensabile.

La Corte di cassazione, in ossequio a una interpretazione aderente al novellato dettato normativo, ha affermato che, in tema di conservazione delle scritture contabili, il contribuente, che intende abbattere il reddito imponibile, portando in deduzione componenti negativi sostenuti per l’esecuzione di interventi previsti da una norma agevolativa, è tenuto a conservare la relativa documentazione, al fine di provare di essere in possesso del titolo legittimante, anche oltre il termine decennale, previsto dalla legge.

Il contribuente, infatti, non può invocare il superamento del limite di legge decennale, a proprio beneficio, per ottenere l’esonero dall’obbligo probatorio.

Il principio stabilito con la citata sentenza si “poggia” sulla generale previsione in base alla quale in materia di agevolazioni fiscali, è il soggetto che si considera beneficiario e che chiede l’ammissione al beneficio a dover conservare le scritture necessarie a provare di essere in possesso del titolo legittimante e ciò anche oltre il termine decennale generalmente previsto.

Nella (diversa) ipotesi in cui l’Amministrazione utilizzi le scritture contabili ultradecennali, per la “costruzione” della pretesa nei confronti del contribuente, si è affermato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale l’ultrattività dell’obbligo di conservazione opera se l’accertamento, iniziato prima del decimo anno, non sia stato ancora definito (Cassazione n. 23630/2023).

La modifica, senza timore di smentita, ha l’indiscusso merito di aver affermato, con maggiore chiarezza, l’ambito di applicazione dell’obbligo di conservazione e di aver delimitato anche la conseguente utilizzazione da parte dell’Erario da un punto di vista temporale. Ciò nondimeno, indipendentemente da quelli che saranno i futuri approdi giurisprudenziali in ordine alla interpretazione e applicazione della novella, in casi particolari come quello oggetto della controversia de qua, non può negarsi il “cortocircuito” che l’applicazione tranchant di tale norma comporta.

Per effetto della nuova disposizione, da una parte il contribuente non è più onerato dall’obbligo di conservazione della documentazione oltre il termine di anni dieci, ma nella ipotesi in cui dovesse essere sottoposto a verifica per l’eventuale disconoscimento di un beneficio fiscale, rischia di non potersi adeguatamente difendere allorquando, come nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità, il diritto alla deduzione di costi affondi le radici diversi anni prima.