7 Novembre 2023

Le differenze fra l’analitico misto e l’induttivo puro: come giocano i costi

di Gianfranco Antico
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Se non sussistono difficoltà ad individuare l’accertamento analitico – che di fatto viene utilizzato per rettificare i comportamenti contabili in contrasto con il D.P.R. 917/1986 o con il D.P.R.633/1972 – per determinare le caratteristiche differenziali trai l cd. accertamento analitico, con posta induttiva sui ricavi (articolo 39, comma 1, lett. d, D.P.R. 600/1973 ed ai fini Iva articolo 54, D.P.R. 633/1972) e l’accertamento induttivo puro (articolo 39, comma 2, D.P.R. 600/1973 ed ai fini Iva articolo 55, D.P.R. 633/1972), ci piace ricordare subito in apertura alcune definizioni offerte dalla Corte di Cassazione (in ambito reddituale ed Iva) che, se pur datate, sono comunque attuali.

Ai fini reddituali, con la sentenza n.20857/2007, gli Ermellini hanno affermato che, in tema di determinazione del reddito d’impresa, mentre all’accertamento con metodo induttivo (extracontabile) “si ricorre in presenza di contabilità complessivamente inattendibile, in quanto tale rivelata dalle circostanze indicate nella norma, e con riferimento al reddito complessivamente considerato”, l’accertamento con metodo analitico induttivo “si risolve nella rettifica di singole componenti reddituali (ancorché di grande rilievo quale l’ammontare dei ricavi) e presuppone elementi presuntivi semplici, purché gravi, precisi e concordanti, che – quali, tra l’altro, quelli basati su rilevanti incongruenza tra costi e ricavi ….. prospettino l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate, secondo canoni di ragionevole probabilità, (cfr. Cass. 26919/06, 9884/02 63377/02)“.

Ai fini Iva, con la sentenza n.7184/2009, i giudici di Piazza Cavour hanno sostenuto che è ammissibile il ricorso al metodo induttivo, anche in presenza di contabilità della quale non sia contestata la regolarità formale, in virtù delle disposizioni contenute nel comma 1, dell’articolo 54, D.P.R. n. 633/1972, che autorizza l’accertamento in base anche ad “altri documenti”, ad “altre scritture contabili” (diverse da quelle previste per legge, eventualmente regolari), adaltri dati e notizie, raccolti nei modi normativamente prescritti: cosicché “le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte da tali risultanze… o anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti“.

In sostanza, l’Amministrazione finanziaria può procedere, pur quando il contribuente abbia tenuto una contabilità complessivamente attendibile, alla rettifica di singole poste (tra cui anche la posta dei ricavi) mediante accertamento c.d. analitico-induttivo (Cassazione n. 13305/2011).

Appare, altresì, particolarmente interessante la sentenza n. 20132/2016 della Corte di cassazione, che ha confermato che il discrimine tra l’accertamento condotto con il metodo analitico – induttivo e con il metodo induttivo puro va ricercato nella parziale od assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili.

E di recente, sempre la Corte di cassazione, con la sentenza n. 16361/2023, nell’occuparsi di un interessante caso, dove l’ufficio aveva individuato un unico centro di interessi fra società e ditta individuale, ha ribadito che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il confine tra l’accertamento con metodo analitico extracontabile e quello con metodo induttivo sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili:

  • nel primo caso (accertamento analitico extracontabile), la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c”.;
  • nel secondo caso (accertamento induttivo) “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’ accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicché l’amministrazione finanziaria può “prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c., (cfr. Cass. V, n. 6861/2019)”.

Delineato il quadro di riferimento, puntiamo la nostra attenzione sulla problematica relativa al riconoscimento dei costi non contabilizzati, che assume grande rilievo all’atto della rideterminazione del reddito da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Ai fini fiscali, con riferimento al reddito d’impresa e ai soggetti in contabilità ordinaria, l’articolo 109, comma 4, Tuir, pone precise limitazioni: “le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati a conto economico“.

Tuttavia, lo stesso articolo 109, comma 4, lett.b), Tuir, prevede che le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi. Quindi, in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario (Cassazione n. 28994/2022).

Ai fini Iva, il riconoscimento dell’imposta deriva dall’esercizio in dichiarazione della detrazione dell’imposta relativa agli acquisti, ai sensi dell’articolo 19, comma 1, D.P.R. 633/1972.

Nell’ambito, invece, di un accertamento induttivo, la Corte di cassazione più volte nel corso di questi anni ha avuto modo di far sentire la sua voce sulla questione, ritenendo che la determinazione dell’effettiva capacità contributiva del contribuente è ciò a cui deve tendere tale tipo di accertamento induttivo (Cassazione n. 5659/2020).

Tant’è che già con l’ordinanza n. 6831/2018, il massimo organo di legittimità aveva affermato che “In tema di accertamento induttivo delle imposte sui redditi, l’Amministrazione è tenuta a ricostruire la situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito, purché emergenti dagli accertamenti o dimostrate dal contribuente, su cui grava l’onere della prova dei costi deducibili dall’ammontare dei ricavi induttivamente determinati (Sez. 6-5, n. 22266 del 03/11/2016)”. Infatti, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve assoggettare a imposta, come reddito d’impresa, il profitto netto, anziché quello lordo, in ossequio al parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’articolo 53 Costituzione (Cassazione n. 26748/2018).