17 Giugno 2015

Le “aperture” dell’Agenzia in merito alla rivalutazione dei terreni

di Cristoforo Florio
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La Legge di Stabilità 2015 (legge n. 190/2014) ha nuovamente riaperto i termini per la rivalutazione dei terreni (oltre che delle partecipazioni societarie) posseduti – alla data del 1° gennaio 2015 – da persone fisiche (al di fuori dei beni detenuti per l’esercizio dell’attività d’impresa), società semplici e associazioni professionali, enti non commerciali (per i beni non riferibili all’eventuale attività d’impresa svolta dall’ente) e soggetti non residenti (in mancanza di stabile organizzazione in Italia del soggetto estero).

In linea generale, la normativa in questione rappresenta per i contribuenti un’opportunità di conseguire un possibile vantaggio fiscale: lo scopo dell’operazione di rivalutazione è infatti quello di rideterminare il costo di acquisto del bene, aumentandone il valore e riducendo così l’eventuale plusvalenza tassabile che si realizzerebbe in caso di cessione del bene.

Con l’approssimarsi del 30 giugno 2015, termine ultimo per il versamento dell’imposta sostitutiva dovuta sul valore immobiliare rivalutato, è utile approfondire i recenti chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 53/E del 27 maggio 2015 relativamente ai terreni sottoposti o da sottoporre al meccanismo fiscale di rivalutazione.  

Preliminarmente a ciò, ripercorriamo brevemente le regole vigenti in relazione ai terreni, unitamente ai principali chiarimenti di prassi e giurisprudenza succedutisi nel corso degli ultimi anni.

I beni immobili rivalutabili ai sensi dell’art. 1, c. 626 e 627 della l. n. 190/2014, sono i terreni, sia agricoli che edificabili. Ai fini della rivalutazione in esame, infatti, è irrilevante la destinazione urbanistica del cespite, dovendosi intendere rivalutabili tutti i terreni, indipendentemente dagli strumenti urbanistici adottati dal Comune.

Affinché i terreni siano rivalutabili devono risultare posseduti dal contribuente alla data del 1° gennaio 2015; rientrano nel novero dei diritti rivalutabili la piena proprietà, l’usufrutto, la nuda proprietà, il diritto di superficie ed enfiteusi.  

La rideterminazione del valore d’acquisto del terreno deve essere operata a mezzo di una perizia di stima che, nel caso dei terreni, può essere predisposta solo da alcune categorie professionali; in particolare, sono ammessi alla redazione del documento in esame gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i dottori agronomi, gli agrotecnici, i periti agrari e i periti industriali edili.

Il documento dovrà poi essere asseverato dall’estensore presso la cancelleria di un qualsiasi Tribunale, non rilevando la competenza territoriale. Tuttavia, avendo carattere stragiudiziale, la perizia potrà essere presentata per l’asseverazione anche presso l’ufficio di un Notaio.

L’intero valore del terreno indicato in perizia dovrà essere assoggettato all’imposta sostitutiva che, attualmente, è dovuta nella misura dell’8%, con un raddoppio rispetto all’aliquota del 4% dovuta nelle precedenti riaperture delle rivalutazioni dei terreni. Pertanto, in caso di terreno acquistato al prezzo di euro 10.000 che si intende rivendere al prezzo di euro 100.000, il contribuente potrà procedere alla rivalutazione dello stesso ad un importo di euro 100.000, al fine di sterilizzare completamente la plusvalenza immobiliare (plusvalenza che, altrimenti, sarebbe pari a euro 90.000, calcolata come differenza tra prezzo di acquisto, euro 10.000, e prezzo di vendita, euro 100.000); in tal caso, l’imposta sostitutiva andrà corrisposta sull’intero valore rivalutato (euro 100.000) e non solo sulla quota parte eccedente l’originario costo di acquisto (euro 90.000).

Ma in quale momento la perizia deve essere predisposta e asseverata nel caso dei terreni? Proprio in relazione a tale punto, la recente risoluzione n. 53/2015 ha fornito un primo importante chiarimento, evidenziando un revirement rispetto all’orientamento di prassi ministeriale finora consolidato. Secondo le precedenti interpretazioni fornite con le circolari n. 16/E/2005, n. 47/E/2011 e n. 1/E/2013, infatti, la perizia di stima dei terreni doveva essere necessariamente predisposta e asseverata prima della loro cessione in quanto il valore in essa indicato dal perito costituisce il valore minimo su cui applicare le imposte d’atto (registro, ipotecaria e catastale) e, in quanto tale, deve essere indicato nell’atto di trasferimento.

La risoluzione n. 53/E/2015, invece, ha recepito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (si vedano Corte di Cassazione, ordinanza n. 26714/2013 e sentenza n. 11062/2013), la quale aveva da sempre sostenuto che, laddove la perizia giurata sia asseverata successivamente al rogito notarile di compravendita del terreno, non viene a determinarsi in alcun modo la decadenza dell’agevolazione della rivalutazione, vista “(…) l’assenza di limitazioni poste dalla legge a tal proposito e l’irrilevanza di quanto invece previsto da atti non normativi, come le circolari amministrative (…)”.

Resta in ogni caso fermo il termine ultimo del 30 giugno 2015, data entro la quale la perizia dovrà in ogni caso essere asseverata e, sulla base dei valori in essa indicati, occorrerà procedere al versamento della relativa imposta sostitutiva (o della prima delle tre rate).  

Pertanto anche per i terreni (analogamente a quanto avviene per la rivalutazione delle partecipazioni) si potrà procedere alla cessione degli stessi, predisponendo la perizia prima dell’atto di trasferimento ma provvedendo al giuramento anche in un momento successivo.

Nella risoluzione in esame, inoltre, si affronta l’ulteriore problematica relativa all’indicazione nell’atto di cessione del terreno di un valore inferiore a quello risultante dalla perizia.

Come noto, infatti, il valore dichiarato in atto costituisce anche il valore minimo di riferimento per il pagamento delle imposte indirette (in capo alla parte acquirente) nonché per il pagamento delle imposte dirette sulla plusvalenza (in capo alla parte venditrice). Secondo l’orientamento espresso dalla circolare n. 13/E/2013, in caso di vendita del terreno rivalutato ad un prezzo inferiore a quello della rivalutazione, indicando nell’atto di compravendita il solo prezzo di compravendita e omettendo di esporre il superiore valore rivalutato non corrispondente più all’attuale valore di mercato, il contribuente si espone al rischio di una rettifica tributaria da parte dell’Amministrazione finanziaria con riferimento alla determinazione della plusvalenza tassabile, non potendo più far valere gli effetti della rideterminazione del valore.

Unico rimedio possibile era la predisposizione di una nuova e minore rideterminazione del valore del terreno con apposita perizia, circostanza che – alla luce del raddoppio dell’aliquota dell’imposta sostitutiva (dal 4% all’8%) – può determinare in molti casi un nuovo esborso fiscale per il contribuente.

La risoluzione n. 53/2015, invece, registra un’apertura favorevole con riferimento ai casi in cui lo scostamento del valore indicato nel medesimo atto rispetto a quello periziato sia poco significativo e tale da doversi imputare ad un mero errore più che alla volontà di conseguire un indebito vantaggio fiscale mediante una apprezzabile sottrazione a tassazione di base imponibile, ai fini dell’imposizione indiretta.

Allo stesso modo, il citato documento di prassi ritiene che la predetta esigenza di non intralciare l’attività di controllo possa considerarsi non disattesa nell’ipotesi in cui il contribuente, pur avendo dichiarato in atto un corrispettivo anche sensibilmente inferiore a quello periziato, abbia comunque fatto menzione nello stesso atto della intervenuta rideterminazione del valore del terreno.

Pertanto, in entrambi i casi, ai fini del calcolo della plusvalenza potrà farsi comunque riferimento al predetto valore rivalutato, che rileverà quale valore minimo di riferimento anche ai fini della determinazione dell’imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali.

Alla luce di tali chiarimenti, la Direzione Centrale ha invitato gli Uffici locali a riesaminare la controversie pendenti concernenti la materia in esame e, ove l’attività accertativa dell’Ufficio sia stata effettuata secondo criteri non conformi a quelli sopra indicati, ad abbandonare la pretesa tributaria.