L’avviso di accertamento notificato oltre i termini di decadenza non è annullabile in autotutela
di Gianfranco AnticoL’articolo 4, comma 1, lett. h), L. 111/2023, consente un intervento diretto a prevedere come obbligatoria l’autotutela in taluni specifici casi. In particolare, la norma conferisce espressamente al Governo la delega a “potenziare l’esercizio del potere di autotutela estendendone l’applicazione agli errori manifesti” con riguardo “alle valutazioni di diritto e di fatto operate”, definendo in tal modo l’ambito oggettivo della disciplina delegata.
Si legge nella relazione illustrativa alla bozza di decreto legislativo di modifica dello statuto del contribuente che “ciò appare opportuno non solo per ripristinare un rapporto di correttezza tra il fisco ed i contribuenti, ma anche per gli effetti deflattivi che produrrebbe sul contenzioso. Ad oggi, infatti, accade spesso che a fronte di un atto palesemente illegittimo il contribuente ne richieda l’annullamento in autotutela all’Amministrazione ma, in caso di inerzia (o ritardo) della stessa, si veda costretto a proporre ricorso giurisdizionale nel termine di legge, onde evitare la definitività dell’atto che potrebbe essere di ostacolo ad un successivo (ad oggi discrezionale) annullamento d’ufficio”.
L’introduzione dell’articolo 10-quater, L 212/2000 (c.d. Statuto del contribuente) muove – con le opportune modifiche – dall’articolo 2, D.M. 37/1997, recante “Regolamento recante norme relative all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria”, esplicitando l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria di provvedere in presenza dei presupposti indicati.
Da un lato, il riferimento alla evidente illegittimità o infondatezza si richiama espressamente al concetto di “errori manifesti” utilizzato dalla delega ed incorpora il significato attribuito dalle vigenti norme di legge al profilo oggettivo dell’istituto dell’autotutela. Dall’altro, esso consente di escludere l’obbligatorietà dell’autotutela in tutti i casi in cui la questione appaia dubbia, anche per l’esistenza di contrasti giurisprudenziali.
Si bollina normativamente, inoltre, il divieto di esercitare l’autotutela per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria. In sostanza, non è ostativo all’autotutela:
- un giudicato meramente processuale;
- un giudicato sostanziale basato su motivi diversi da quelli che giustificano l’autotutela.
E si recepisce il principio di delega afferente alla responsabilità amministrativa dei soggetti tenuti ad esercitare l’autotutela obbligatoria, riproducendo l’analoga norma già prevista per gli istituti deflattivi, dall’articolo 29, comma 7, D.L. 78/2010. In pratica, il funzionario risponde solo per dolo.
Dalla lettura della bozza emerge una ulteriore norma nello Statuto del contribuente – l’articolo 10-quinquies L. 212/2000 – che riconosce all’Amministrazione finanziaria un generalizzato potere di autotutela facoltativa, esercitabile, anche d’ufficio e in pendenza di giudizio o in presenza di atti definitivi, quando ricorrono casi di illegittimità o infondatezza dell’atto o dell’imposizione.
Pur se la riforma fiscale intende ristrutturare il diritto di autotutela, allargandolo agli errori manifesti, prescrivendone il potenziamento attraverso la sua estensione alle ipotesi in cui l’atto è definitivo, tuttavia gli atti presuntivamente viziati, per inosservanza dei termini di decadenza, non possono essere oggetto di annullamento in autotutela, in quanto non sono inesistenti o nulli ma annullabili, né rilevabili d’ufficio dal giudice.
Sul punto, la Corte di cassazione (sentenza n. 18448/2015) ha affermato che il vizio di nullità dell’atto tributario va inteso, sul piano processuale, come vizio di annullabilità, con la conseguenza che l’invalidità dell’atto non è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ma va eccepita dal contribuente in primo grado. Diversamente, in assenza di tempestiva impugnazione, “il provvedimento tributario viziato da ‘nullità’ si consolida, rendendo definitivo il rapporto obbligatorio sottostante e legittimando l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva della imposta”.
E ancora in sede giurisprudenziale, con l’ordinanza n. 171/2015, è stato sostenuto che “il termine di decadenza stabilito a carico dell’ufficio tributario ed in favore del contribuente per l’esercizio del potere impositivo abbia natura sostanziale e non appartenga a materia sottratta alla disponibilità delle parti, in quanto tale decadenza non concerne diritti indisponibili dello Stato alla percezione di tributi, ma incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio, oltre un certo limite di tempo, alle pretese del Fisco; cosicché è riservata alla valutazione del contribuente stesso la scelta di avvalersi o meno della relativa eccezione, da ritenersi, pertanto, eccezione in senso proprio, non rilevabile d’ufficio né proponibile per la prima volta in grado d’appello (tra le tante, sent. 14028/11)”. Principi sostanzialmente ribaditi con l’ordinanza n. 28467/2017.
Di conseguenza, in assenza di impugnazione, l’atto fuori termine diventa comunque definitivo, né tale vizio può poi essere contestato successivamente contro il ruolo o l’intimazione a adempiere.
E ciò, a maggior ragione, a nostro avviso, una volta entrati in vigore nel corpo dello Statuto dei diritti del contribuente gli articoli 7-bis, 7-ter, 7-quater, 7-quinquies e 7-sexies, che – sulla falsariga degli articoli 21-septies e 21-octies, L. 241/1990 – andranno a costituire il corpo organico delle regole delle invalidità tributarie. In particolare, per quel che ci interessa in questa sede, il regime di “nullità” degli atti dell’Amministrazione finanziaria, opera solo in via eccezionale e solo ove espressamente previsto da una previsione di legge, successiva all’entrata in vigore della nuova norma.