27 Ottobre 2015

L’accertamento analitico per le imprese

di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
Scarica in PDF

La norma di riferimento per l’accertamento per i redditi dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, cioè l’art. 39 del DPR n. 600/1973, non dà alcuna particolare definizione delle metodologie di accertamento che in essa vengono previste. In vari momenti del percorso di accertamento e di contenzioso, quindi, sono stati coniati termini quali accertamento analitico, analitico-contabile, induttivo, induttivo-extracontabile, analitico-induttivo, per individuare le varie modalità di accertamento ingenerando non poche incertezze interpretative. La giustificazione del ricorso a tali convenzioni terminologiche trova la sua ragione proprio nell’assenza di precise definizioni legali, circostanza che ha imposto ai molti operatori del campo tributario la necessità di un’intesa sui termini al solo fine di delimitare le varie ed articolate previsioni legali.

Al fine di una migliore comprensione dell’argomento in questione appare, quindi, utile esaminare la disciplina prevista dall’art.39 del DPR 600/73 ed effettuare opportune precisazioni di carattere terminologico, poiché, molto spesso, proprio dall’utilizzo improprio di alcuni termini ricorrenti in questa materia sorge una confusione nella corretta individuazione del campo di intervento, delle norme e della loro interpretazione giurisprudenziale. Tale analisi consente, in via preliminare, di distinguere il metodo di accertamento analitico (c.d. contabile), previsto dal comma 1 della citata disposizione, dal metodo di accertamento induttivo (c.d. extracontabile) contemplato dal successivo comma 2. La principale e fondamentale differenza tra le predette terminologie, secondo consolidati orientamenti sia dottrinali che giurisprudenziali, è rappresentata dalla circostanza che la prima modalità accertatrice è utilizzabile nel presupposto di una contabilità formalmente regolare nel suo complesso (ancorché infedele od incompleta in qualche parte), mentre la seconda è applicabile esclusivamente in condizioni di una manifesta inattendibilità dell’impianto contabile del soggetto verificato tale da non poter conferire alcuna credibilità al reddito dichiarato.

Ciò premesso, quindi, è evidente che la procedura di accertamento analitico trova fondamento nell’esame completo o parziale delle scritture contabili e sulla circostanza che, da tale esame, non sia riscontrata l’infedeltà dichiarativa attraverso le risultanze delle stesse.

Il legislatore, nel co.1 dell’art.39, ha contraddistinto, con quattro lettere, altrettante sotto-distinzioni delle varie modalità di accertamento.

In particolare, nelle prime tre si procede a rettifica secondo il metodo analitico quando vi è:

  • difformità tra i dati contenuti nella dichiarazione e quelli esposti nel bilancio (stato patrimoniale e conto economico). In tale ipotesi l’Ufficio provvede a ripristinarne la corrispondenza;
  • inesatta applicazione delle disposizioni riguardanti la determinazione del reddito. In tale caso è necessario variare le singole componenti della dichiarazione in relazione a norme specifiche contenute nel DPR 917/86;
  • mancata rilevazione nelle scritture contabili di tutti i fatti e le operazioni aziendali con conseguente alterazione dei risultati finali rilevate attraverso l’esame delle scritture contabili e/o con l’utilizzo di dati e notizie raccolti mediante l’esercizio dei poteri che la norma attribuisce all’ufficio – ovverosia questionari, inviti a comparire, richiesta di atti documenti o registri -,  le dichiarazioni (dei redditi o dei sostituti d’imposta) presentate da altri soggetti, i verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti ed ogni altro atto e documento in possesso dell’Ufficio.

Per queste prime tre ipotesi, quindi, è indubbia la necessità di fondare un’eventuale rettifica esclusivamente su elementi analitici certi e diretti. Si richiama, ad esempio, l’ipotesi di costi dedotti in dichiarazione non riscontrati nel conto economico e, più in generale, la difformità degli elementi contenuti nel bilancio da quelli indicati dal contribuente nella dichiarazione.

Altra ipotesi, invece, è quella effettuabile laddove il contribuente non abbia correttamente applicato le disposizioni che disciplinano la determinazione del reddito d’impresa o di quello di lavoro autonomo. Tale possibilità riguarda non già infedeltà dichiarative di tipo materiale, ma quelle derivanti dalla interpretazione delle disposizioni da parte del contribuente, in modo non condiviso dall’Amministrazione finanziaria, come, ad esempio, la riqualificazione di una spesa pubblicitaria in spesa di rappresentanza.

Il legislatore ha introdotto, pur rimanendo nell’ambito dell’accertamento analitico, un’ulteriore procedura di ispezione che prevede, come vedremo, anche un metodo induttivo a sostegno di quello contabile, fermo restando l’obbligo per l’Amministrazione di dimostrare comunque la ragionevolezza della ricostruzione del reddito svolta. La ricerca di prove da porre a fondamento di questo tipo di rettifica del reddito potrà essere effettuata, quindi, oltre che dalle scritture contabili anche:

  • dalle fatture e dagli altri atti e documenti relativi all’impresa o all’esercente arti e professioni (in sostanza la documentazione che è alla base delle registrazioni in contabilità);
  • dai risultati delle verifiche e rilevazioni eseguite presso il luogo di esercizio dell’attività (ex art. 33 del DPR n. 600/1973);
  • dai dati e dalle notizie raccolti attraverso tutti i poteri istruttori previsti dall’art. 32 del DPR n. 600/1973.

Il complesso dei poteri istruttori e di indagine qui definiti richiamano immediatamente l’ambito operativo di quella che, nella prassi, viene definita una “verifica fiscale”.  Tuttavia, la fondamentale differenza tra questa specifica ipotesi di accertamento e quelle formulate in precedenza, è costituita dall’ammissione di prove fondate anche su presunzioni semplici per vincere un’altra presunzione, ovverosia quella dell’implicita correttezza delle scritture contabili regolarmente tenute. In questo ambito rientra, altresì, la possibilità di fondare la rettifica sulla esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ossia dagli studi di settore. L’ipotesi indicata nella lettera d), in un certo senso, rappresenta il punto di passaggio tra accertamento analitico, effettuato sulla scorta esclusivamente delle scritture contabili, ed accertamento induttivo, effettuato anche con l’utilizzo di mezzi presuntivi che prescindono dalle stesse. Da qui il termine composto di accertamento analitico-induttivo.