28 Dicembre 2023

Irrilevante l’accertamento sul titolare dell’impresa familiare per i suoi collaboratori

di Luigi Scappini
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La scheda di FISCOPRATICO

Con la sentenza n. 33149/2023, la Corte di cassazione si è recentemente espressa in riferimento alle ricadute dell’accertamento fiscale sull’impresa familiare nei confronti dei familiari collaboratori. Prima di entrare nel merito del richiamato arresto giurisprudenziale, è opportuno ricordare che l’impresa familiare trova una propria disciplina compiuta, a seguito della Riforma del diritto di famiglia (L. 151/1975), nell’articolo 230-bis, cod. civ., per effetto del quale un’impresa assume tale qualifica quando l’imprenditore eserciti la propria attività, collaborando con taluni componenti della propria famiglia.

Nel concetto di “familiari” sono riconducibili tutti i parenti sino al terzo grado, nonché gli affini entro il secondo.

Tuttavia, il dato normativo fa sì che la mera esistenza di una simile comunanza lavorativa non è sempre sufficiente al fine della configurazione di tale tipo d’impresa, risultando quella familiare solo residuale. Infatti, secondo il dettato dell’articolo 230-bis, cod. civ., è sempre possibile un diverso rapporto, per esempio nell’ipotesi in cui i familiari in questione siano inseriti attraverso un contratto di lavoro subordinato, in modo da figurare come meri dipendenti dell’imprenditore.

Con riferimento, invece, alla sola figura del coniuge, è ininfluente il regime patrimoniale deciso in occasione (o successivamente) alle nozze dai coniugi stessi.

Come noto, l’articolo 230-bis, cod. civ., riconosce, in capo ai familiari dell’imprenditore, alcuni diritti di contenuto patrimoniale:

  • diritto al mantenimento;
  • diritto alla partecipazione agli utili;
  • diritto agli incrementi aziendali;
  • diritto alla liquidazione della quota;

e alcuni poteri di tipo partecipativo/gestionale, e cioè strumentali all’esercizio della stessa impresa.

L’attribuzione di tali diritti e poteri non muta la natura individuale dell’impresa familiare.

Sotto l’aspetto fiscale, l’articolo 5, comma 4, Tuir, stabilisce che “I redditi delle imprese familiari di cui all’articolo 230-bis, cod. civ., limitatamente al 49 per cento dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

Per quanto riguarda la qualificazione da dare ai redditi prodotti all’interno dell’impresa familiare, bisogna differenziare tra quelli spettanti al titolare dell’impresa stessa e quelli di competenza dei familiari-collaboratori.

I redditi prodotti dal titolare dell’impresa familiare sono qualificabili quali reddito di impresa, stante la classificazione stessa che viene data all’impresa di cui è il titolare.

Per quanto riguarda i collaboratori dell’impresa familiare, la circolare n. 40/E/1976 definisce il reddito percepito dall’imprenditore titolare dell’impresa familiare quale reddito d’impresa e le quote spettanti ai suoi collaboratori quali redditi da partecipazione. In particolare, le SS.UU. della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23676/2014, hanno affermato che “Le quote spettanti ai collaboratori dell’impresa familiare vanno,  dunque, qualificate come redditi di “puro lavoro”, non assimilabili a  quello di impresa, in quanto detti collaboratori non sono contitolari  dell’impresa che ha natura individuale, tanto che non è mutuabile la  configurazione propria delle società, la cui disciplina non può essere  applicata, per incompatibilità, all’esercizio dell’impresa familiare”.

Chiarita la natura dei redditi prodotti nell’ambito dell’impresa familiare, ci si potrebbe domandare quali possano essere, eventualmente, le conseguenze in capo ai collaboratori dell’accertamento di un maggior reddito in capo al titolare dell’impresa familiare, tema sul quale si è formato un consolidato filone giurisprudenziale, da ultimo confermato con  la recente sentenza n. 33149/2023 secondo cui “In materia di impresa familiare, il reddito percepito dal titolare, che è pari al reddito conseguito dall’impresa al netto delle quote di competenza dei familiari collaboratori, costituisce un reddito d’impresa, mentre le quote spettanti ai collaboratori – che non sono contitolari dell’impresa familiare – costituiscono redditi di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa, e devono essere assoggettati all’imposizione nei limiti dei redditi dichiarati dall’imprenditore; ne consegue che, dal punto di vista fiscale, in caso di accertamento di un maggior reddito imprenditoriale, lo stesso deve essere riferito soltanto al titolare dell’impresa, rimanendo escluso che possa essere attribuito pro quota agli altri familiari collaboratori aventi diritto alla partecipazione agli utili d’impresa.”