4 Gennaio 2019

Il registro dei beni movimentati in ambito intra-UE a titolo non traslativo

di Marco Peirolo
Scarica in PDF

La Direttiva 2018/1910/UE del 4 dicembre 2018, nel disciplinare l’accordo di “call-off stock”, contenuto nel nuovo articolo 17-bis Direttiva 2006/112/CE, applicabile a decorrere dall’1 gennaio 2020, subordina la sospensione d’imposta relativa al trasferimento intra-unionale dei beni al rispetto di specifiche condizioni, tra cui quella che impone al soggetto passivo che spedisce/trasporta i beni nello Stato membro del destinatario di annotarne la movimentazione nel registro di cui all’articolo 243, par. 3, Direttiva 2006/112/CE.

In linea con questa previsione, la sospensione d’imposta non viene meno se i beni oggetto di trasferimento, non prelevati dal destinatario entro 12 mesi dal loro arrivo, sono rispediti entro tale termine allo Stato membro di partenza e il soggetto passivo ne annota la rispedizione nel citato registro.

L’articolo 243, par. 3, Direttiva 2006/112/CE, novellato dalla Direttiva 2018/1910/UE, dispone, a sua volta, che il soggetto passivo che trasferisce i beni nell’ambito del call-off stock tiene un registro che consente alle Autorità fiscali di verificare la corretta applicazione del regime, aggiungendo che il medesimo registro deve essere tenuto anche dal soggetto passivo destinatario di una cessione di beni nell’ambito del call-off stock.

Le informazioni che vanno riportate nel registro sono indicate dal nuovo articolo 54-bis Regolamento UE 282/2011, introdotto dal Regolamento UE 2018/1912 del 4 dicembre 2018.

Un analogo registro è previsto dall’articolo 243, par. 1, Direttiva 2006/112/CE per i beni spediti/trasportati in altro Stato membro ai fini dell’esecuzione delle prestazioni di servizi di cui all’articolo 17, par. 2, lett. f), g) e h), della stessa Direttiva, che disciplina la sospensione d’imposta dei trasferimenti intra-unionali di beni finalizzati, rispettivamente:

  • alla prestazione avente per oggetto l’esecuzione di una perizia o di lavori riguardanti i beni:
  1. materialmente eseguiti nel territorio dello Stato membro di arrivo della spedizione/trasporto dei beni;
  2. qualora i beni, al termine della perizia o dei lavori, siano rispediti al soggetto passivo nello Stato membro a partire dal quale erano stato inizialmente spediti/trasportati;
  • alla temporanea utilizzazione dei beni, nel territorio dello Stato membro di arrivo della spedizione/trasporto, ai fini di prestazioni di servizi fornite dal soggetto passivo stabilito nello Stato membro di partenza della spedizione/trasporto dei beni;
  • della temporanea utilizzazione dei beni, per una durata non superiore a 24 mesi, nel territorio di altro Stato membro all’interno del quale l’importazione degli stessi beni di provenienza da un Paese terzo ai fini dell’utilizzazione temporanea fruirebbe del regime dell’ammissione temporanea in esenzione totale dai dazi all’importazione.

Il citato articolo 17, par. 2, lett. f), g) e h), Direttiva 2006/112/CE, tuttavia, a differenza del nuovo articolo 17-bis della medesima Direttiva, non subordina esplicitamente la sospensione d’imposta del trasferimento intra-unionale dei beni alla tenuta del predetto registro.

Spostando l’attenzione sulla corrispondente disciplina italiana, l’articolo 50, comma 5, D.L. 331/1993 dispone che i movimenti relativi ai beni spediti in altro Stato membro o da questo provenienti in base ad uno dei titoli non traslativi corrispondenti a quelli dell’articolo 17, par. 2, lett. f), g) e h), Direttiva 2006/112/CE devono essere annotati in apposito registro, tenuto e conservato a norma dell’articolo 39 D.P.R. 633/1972.

L’articolo 39, comma 1, D.L. 331/1993 stabilisce che lo stesso adempimento deve essere osservato, più in generale, quando gli effetti traslativi o costitutivi si producono in un momento successivo alla consegna, nonché quando i beni sono trasferiti in dipendenza di contratti estimatori e simili, specificando che la sospensione d’imposta opera a condizione che sia istituito il registro di cui all’articolo 50, comma 5, D.L. 331/1993.

Tale previsione, se applicata rigorosamente, si pone in contrasto con la normativa unionale di riferimento, che per i trasferimenti di beni in dipendenza di una prestazione di servizio non subordina la sospensione d’imposta alla tenuta del registro. Del resto, il novellato articolo 17-bis Direttiva n. 2006/112/CE dimostra che è solo per i trasferimenti nell’ambito del regime di call-off stock che il registro rappresenta una condizione essenziale dell’effetto sospensivo.

La portata dell’articolo 39, comma 1, D.L. 331/1993 è stemperata dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza.

A fronte di una iniziale posizione dell’Amministrazione finanziaria che aveva ritenuto tassativa l’annotazione della movimentazione dei beni nel registro (risoluzione AdE 30/E/2000), è stato successivamente precisato che l’obbligo in esame si considera validamente assolto mediante la “presa in carico” dei beni su un apposito documento, numerato e conservato agli atti della società (risoluzione AdE 39/E/2005).

Secondo la giurisprudenza di merito, la finalità sottesa all’istituzione del registro non è, in via principale, quella di individuare uno strumento idoneo a vincere le presunzioni di cessione e di acquisto, quanto, piuttosto, quella di fornire un valido supporto per controllare i movimenti di beni nell’ambito del territorio comunitario, soprattutto a seguito della caduta delle barriere doganali (CTP Cuneo, n. 145/2/12 del 08.11.2012).

Di conseguenza, il regime sospensivo connesso alla movimentazione intracomunitaria non viene meno se il contribuente è in grado di dimostrare il titolo non traslativo della proprietà, per esempio esibendo l’ordine di lavorazione e la fattura emessa nei confronti del committente comunitario recante lo stesso numero d’ordine.

Secondo questa impostazione, la violazione dell’obbligo di tenuta del registro comporta la sola irrogazione della sanzione amministrativa di cui all’articolo 9, commi 1 e 3, D.Lgs. 471/1997, ma non anche la riqualificazione dell’operazione come trasferimento a “se stessi”.

Questa conclusione è stata confermata dalla Corte di Cassazione.

Con la sentenza n. 26003 del 10.12.2014, è stato innanzi tutto osservato che l’articolo 50 D.L. 331/1993 prevede gli obblighi formali connessi agli scambi intracomunitari ed opera su un piano diverso da quello dell’identificazione dei presupposti di fatto della fattispecie di non imponibilità, limitandosi a prevedere gli adempimenti formali volti ad agevolare il successivo controllo da parte degli Uffici finanziari e ad evitare atti elusivi o di natura fraudolenta (Cassazione n. 20575 del 07.11.2011).

Come affermato dagli stessi giudici di legittimità a proposito dell’omessa indicazione in fattura del codice identificativo del cessionario intracomunitario, un conto è l’irregolarità formale della fattura emessa, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano sanzionatorio, altro è invece pretendere che le operazioni per loro natura non imponibili diventino imponibili in dipendenza di una mera irregolarità formale, senza peraltro che tale effetto sia espressamente previsto dalla normativa (Cassazione n. 12455 del 28.05.2007).

Nella sentenza n. 26003/2014, si afferma che le medesime considerazioni possono essere estese all’annotazione nel registro di cui all’articolo 50, comma 5, D.L. 331/1993, il quale acquista, in questa prospettiva, una valenza esclusivamente formale.

Le nuove regole IVA sui voucher