27 Aprile 2023

Il principio di inerenza e la genericità del contratto di consulenza

di Gianfranco Antico
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La scheda di FISCOPRATICO

L’inerenza costituisce un requisito fondamentale per la determinazione del reddito d’impresa e riguarda, in generale, l’esistenza di una correlazione tra i costi sostenuti e l’attività d’impresa esercitata, così che i costi sono inerenti in quanto connessi all’attività d’impresa produttiva del reddito da tassare.

Se la dottrina e la giurisprudenza dominante hanno fatto discendere tradizionalmente tale nozione dall’articolo 109, comma 5, Tuir, due pronunciamenti della Suprema Corte (ordinanza n. 450/2018 e ordinanza n. 3170/2018) hanno sganciato tale concetto dalla previsione normativa, mettendo in evidenza che il principio di inerenza è “un principio generale inespresso, immanente alla nozione di reddito d’impresa”, e la valutazione dell’inerenza “deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro da riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo”.

In particolare, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 450 dell’11.01.2018, ha riallineato la nozione fiscale di inerenza al fenomeno economico peculiare all’esercizio dell’attività d’impresa, affermando che “il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, esclusa ogni valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta) o congruità, “perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo.

Indirizzo riconfermato con l’ordinanza n. 3170 del 09.02.2018, secondo cui esula ai fini del giudizio qualitativo di inerenza un “apprezzamento del costo in termini di congruità o antieconomicità“, parametri che non sono espressione dell’inerenza ma “costituiscono meri indici sintomatici dell’inesistenza di tale requisito, ossia dell’esclusione del costo dall’ambito dell’attività d’impresa“.

In questo contesto si inserisce la recente sentenza della Corte di Cassazione n.5983 del 28.02.2023.

Scrivono i giudici: “la definizione di inerenza, utilizzata nell’ambito delle imposte dirette in termini esclusivamente qualitativi, è coerente con la disciplina dell’Iva, in relazione alla quale la mancanza di congruità della spesa non esclude il diritto alla detrazione, stante il carattere neutrale dell’imposta, salvo che l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione (che deve essere dimostrata dall’Amministrazione) sia “tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad Iva” (ex multis, Cass. 30.01.2018, n. 2240)”.

Nel caso di specie – genericità del contratto di consulenza infra gruppo che non consente la quantificazione dei costi, mancando qualsiasi documentazione a supporto e rendendo estremamente aleatorio il sostenimento di tali costi se non in funzione di politiche di bilancio – il giudice di appello ha affermato, con riferimento alle imposte dirette, che “ai fini della deducibilità di un costo, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisca ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa, per cui, trattandosi di una componente negativa del reddito, la prova della sua esistenza ed inerenza incombe al contribuente e per provare tale requisito non è sufficiente che la spesa sia stata riconosciuta e contabilizzata dall’imprenditore, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto dalla quale possa ricavarsi, oltreché l’importo, la ragione stessa del costo”.

Avendo il giudice di appello dato atto che l’inerenza dei costi, ai fini delle imposte dirette, era stata valutata esclusivamente in termini qualitativi, e formatosi il giudicato interno su detto punto, non essendo stata impugnata la sentenza anche dalla contribuente, la mancanza del requisito di inerenza non poteva essere più messa in discussione neppure con riferimento alla detrazione dell’Iva.

E quindi, l’allora CTR ha errato nel ritenere che l’Amministrazione avesse fondato il recupero dell’Iva sull’antieconomicità delle operazioni, posto che l’unico criterio seguito in sede di accertamento era quello relativo alla mancanza di inerenza delle spese di consulenza, sotto il profilo dell’assenza di dimostrazione della ragione della spesa e, quindi, della sussistenza di un nesso diretto ed immediato con l’attività di impresa.

Detta pronuncia fa seguito all’ordinanza della Corte di Cassazione n. 35568 del 02.12.2022, che aveva disconosciuto, fra l’altro, la deducibilità dei costi relativi ad una fattura per “consulenze di mercato, effettuata da un’altra società del medesimo gruppo, per il solo fatto che il documento era generico e che quindi non provava l’inerenza.

Un generico addebito per “servizi aziendali” oppure per “servizi vari consulenza” oppure ancora per “servizi segreteria” o come nel caso di specie di “consulenza di mercato” non consentono davvero di identificare in modo chiaro l’oggetto della prestazione e autorizzano, pertanto, la rettifica da parte dell’Ufficio.

Resta fermo che, ai fini della deduzione dei costi, incombe sul contribuente l’onere di provare l’inerenza del bene o del servizio collegato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o del servizio all’esercizio dell’attività medesima, accertamento che deve essere compiuto non già in astratto bensì in concreto, e rapportato all’oggetto sociale, fermo restando che è configurabile anche in presenza di documentate spese di investimento, sostenute in vista di un’iniziativa complessa, anche in assenza di operazioni attive, senza che occorra il concreto esercizio dell’impresa stessa (Corte di Cassazione, ordinanza n. 24126/2019).