11 Novembre 2022

Il GSE emette fatture a rettifica del prezzo dell’energia altrui

di Stefano Chirichigno
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L’articolo 15 bis D.L. 4/2022 ha previsto che a decorrere dal 1° febbraio 2022 e fino al 31 dicembre 2022, è applicato un meccanismo di compensazione a due vie sul prezzo dell’energia, in riferimento all’energia elettrica immessa in rete da:

a) impianti fotovoltaici di potenza superiore a 20 kW che beneficiano di premi fissi derivanti dal meccanismo del Conto Energia, non dipendenti dai prezzi di mercato;

b) impianti di potenza superiore a 20 kW alimentati da fonte solare, idroelettrica, geotermoelettrica ed eolica che non accedono a meccanismi di incentivazione, entrati in esercizio in data antecedente al 1° gennaio 2010.

I produttori interessati, previa richiesta da parte del Gestore dei servizi energetici (GSE), trasmettono al medesimo, entro trenta giorni dalla medesima richiesta, una dichiarazione che attesti le informazioni necessarie per le finalità di cui all’articolo 15 bis sopra citato, come individuate dall’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA).

La norma prevede che spetti al GSE calcolare la differenza tra un prezzo di riferimento normativamente individuato dallo stesso (differenziato per macroaree territoriali) e un prezzo zonale orario (o in determinate ipotesi prezzo contrattuale).

Qualora tale differenza sia positiva (ipotesi altamente improbabile), il GSE eroga il relativo importo al produttore.

Nel caso in cui la predetta differenza risulti negativa (come nell’ordinarietà dei casi), il GSE conguaglia o provvede a richiedere al produttore l’importo corrispondente.

Ineffabile come sempre, il GSE ha ritenuto di dare attuazione a tale disposizione di legge emettendo fatture, in particolare (secondo quanto riportato dalla stampa specializzata) in relazione all’energia venduta dai Comuni e da altri soggetti come le imprese agricole produttrici di energia fotovoltaica.

Fin troppo scontato eccepire che la fattura difetta del suo fondamento primario, vale a dire la cessione di beni o la prestazione di servizi (c.d. presupposto oggettivo dell’Iva).

La circostanza che la causale di tali fatture sia “rettifica del prezzo di cessione dell’energia ai sensi dell’art. 15 bis del Decreto Legge 27 gennaio 2022, n. 4,- Contratto XYZ” rende quasi surreale la situazione.

È del tutto evidente che se una rettifica di una fattura (per essere mutato il prezzo) deve essere fatta, lo strumento preposto è la nota di credito emessa dallo stesso soggetto che ha emesso la fattura oggetto di rettifica.

Per quale ragione il GSE abbia sentito l’esigenza di emettere una propria fattura probabilmente rimarrà un italico mistero, ma nutriamo seri dubbi che tali fatture saranno serenamente “respinte” (come, senza tema di smentita, dovrebbero) dai produttori di energia che in primo luogo non vorranno che tale “respingimento” venga frainteso come un rifiuto di soggiacere alla norma in commento, ma più in generale è del tutto verosimile che siano poco inclini ad aprire tavoli di discussione con il GSE (dato il suo ruolo di “gestore” e come storicamente lo ha interpretato).

Fortunatamente, a quanto ci consta, le fatture sono emesse dal GSE in regime di reverse ex articolo 17, comma 6, D.P.R. 633/1972 (aggiungendo svarione a svarione) e quindi non mettono il produttore nell’imbarazzo di detrarre un’Iva risultante da una fattura emessa per operazione inesistente.

Che si possa essere sanzionati per aver fatto acquiescenza al comportamento del GSE e quindi gestito la pseudo-fattura alla stregua di un mero invito “atipico” all’emissione di una nota di credito e quindi assimilato la registrazione della fattura (per amor di pace) applicando l’Iva in regime di reverse charge all’emissione di una propria nota di credito (che avrebbe sortito il medesimo effetto) sarebbe veramente paradossale.

Ovviamente, in linea di principio la registrazione della “pseudofattura” del GSE alla stregua di un qualsiasi documento di addebito solo in contabilità generale senza transitare per i registri Iva rimane una soluzione che difficilmente si presta a critiche.

In realtà il dubbio che rimane è che il problema sia più a monte e a ben vedere non si renda dovuta alcuna nota di credito da parte dei venditori di energia (rimanendo quindi l’Iva applicata sul prezzo contrattualmente convenuto), trattandosi di una prestazione imposta, sostanzialmente un tributo, per insindacabile scelta legislativa, determinato in termini di differenza di prezzo, ma che opera per così dire su una sfera differente (quella delle prestazioni imposte) e quindi del tutto estranea al venerando (ormai cinquantenne) tributo.

Se è vero che un tributo viene identificato con riferimento a quattro elementi qualificanti – il depauperamento patrimoniale del soggetto inciso, la coattività della prestazione patrimoniale richiesta, la destinazione del gettito ad enti pubblici e, infine, la funzione pubblica della prestazione patrimoniale imposta – ci sembra arduo negare che uno di essi difetti nel caso di specie.

Se è vero che il tributo consiste in una prestazione patrimoniale imposta in base ad una fonte autoritativa, il cui gettito è destinato ad enti pubblici ed è funzionale a favorire in via solidaristica le finalità collettive, è necessaria una riflessione in più da parte dell’AdE che ponga fine allo strame del venerando tributo da parte del GSE.