11 Luglio 2015

Il D.Lgs. 81/2015 riscrive le regole sulla variazione delle mansioni

di Luca Vannoni
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Il D.Lgs. 81/2015, in vigore dal 25 giugno, oltre a riordinare la disciplina dei contratti di lavoro subordinati e a modificare la disciplina delle collaborazioni, ha ridisegnato la norma cardine in materia di mansioni, l’art. 2103 del codice civile. Prima di analizzare nel dettaglio quanto disposto, è opportuno partire dalla Legge Delega 183/2014 al fine di capire le finalità della modifica. Tale norma stabiliva infatti la “Revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento”.

La ragione, quindi, della riforma della materia consiste nella semplificazione della variazione delle mansioni del lavoratore, nel caso in cui sia richiesto dall’evoluzione dell’organizzazione del lavoro della produzione. In base al testo previgente dell’art. 2103 del codice civile, la variazione delle mansioni doveva necessariamente rispettare il principio dell’equivalenza e nulla era previsto in caso di demansionamento per conservare il posto di lavoro, quando le mansioni svolte venivano soppresse per ragioni oggettive o per inidoneità al lavoro: solo a seguito di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, almeno nelle sue direttrici fondanti, la variazione in peius poteva giustificarsi se finalizzata al mantenimento dell’occupazione. In materia di inidoneità, disposizioni come l’art. 42 del D.Lgs. 81/2008, hanno introdotto una maggior flessibilità nella variazione delle mansioni.

La rigidità del 2103 del codice civile, ad ogni modo, creava pesanti incertezze interpretative, soprattutto in tutte quelle situazioni di crisi o di riorganizzazione.

Con il nuovo testo del 2103 c.c., innanzitutto viene stabilito che la possibilità di variazione non è più legata al principio dell’equivalenza, ma opera all’interno delle mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento. Ciò significa che il datore di lavoro potrà variare unilateralmente le mansioni con molta più flessibilità: l’importante è che sia preservata la professionalità data dal rispetto del livello di assegnazione. Il salto è notevole rispetto alla disciplina previgente, dove l’equivalenza veniva valutata anche in riferimento alla professionalità soggettiva del lavoratore, alla luce quindi delle sue specifiche competenze e delle chance future di progressioni di carriera.

Il margine dato dai livelli contrattuali è molto più ampio, fino al caso estremo dei dirigenti, il cui inquadramento nella contrattazione collettiva si caratterizza dall’assenza di livelli intermedi.

Particolarmente interessante è quanto ora dispone il 2° comma dell’art. 2103: in esso si stabilisce la facoltà di variare le mansioni, fino al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella stessa categoria legale, in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore. Oltre a questo potere autonomo, la contrattazione collettiva può stabilire ulteriori ipotesi di variazione.

Da un punto di vista procedurale, attenzione perché il nuovo 2103 richiede la forma scritta, pena la nullità della variazione nel caso sia peggiorativa. Inoltre, le variazioni sopra previste non incidono sul trattamento economico del lavoratore, se non per le cosiddetta indennità modali (es. indennità lavoro notturno).

Per potere avere un demansionamento accompagnato anche dalla riduzione della retribuzione al nuovo livello di assegnazione, è necessario stipulare apposito accordo nelle sedi protette (DTL etc.) o presso le commissioni di certificazione. Tale soluzione deve essere perseguita anche nel caso di demansionamento volto alla conservazione del posto di lavoro.

Ulteriore novità è prevista in ordine all’assegnazione temporanea a mansioni superiori: oltre ad aver diritto al trattamento retributivo connesso con le nuove mansioni, l’assegnazione diviene definitiva, se non sostitutiva di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, con il consenso del lavoratore, dopo 6 mesi continuativi (in precedenza 3) ovvero dopo il periodo fissato dalla contrattazione collettiva.