21 Novembre 2023

I gravi indizi di violazione della normativa tributaria per l’accesso domiciliare vanno esternati

di Gianfranco Antico
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La scheda di FISCOPRATICO

L’accesso presso l’abitazione privata del contribuente – tutelata dall’articolo 14 Costituzione – può essere effettuato solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, e in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, conformemente a quanto disciplinato dal comma 2, dell’articolo 52, D.P.R. 633/1972, reso applicabile, anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, dal richiamo operato dall’articolo 33, D.P.R. 600/1973.

Come indicato dalla GdF nella circolare n.1/2018 (vero e proprio manuale sui controlli), la definizione del concetto di abitazione può essere ricavata:

  • dell’articolo 43 cod. civ., a mente del quale “il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi” (comma 1), mentre “la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale” (comma 2);
  • degli articoli 614 e 615 Codice penale, riguardanti il reato di violazione di domicilio commesso, rispettivamente, dal privato e dal pubblico ufficiale, che fanno riferimento “all’abitazione” e, più in generale, agli altri luoghi di “privata dimora”;
  • dell’articolo 75, comma 1, D.P.R. 633/1972, secondo cui “per quanto non è diversamente disposto dal presente decreto si applicano, in materia di accertamento delle violazioni e di sanzioni, le norme del Codice penale e del codice di procedura penale”.

L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, di cui all’articolo 52, D.P.R. 633/1972, è stata prevista dal legislatore come opportuno filtro preventivo all’azione accertativa in materia fiscale in tutte le fattispecie coinvolgenti il “domicilio” del contribuente, posto che il domicilio è, per disposizione costituzionale, comunque inviolabile, salvo che “nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale”, a norma dell’articolo 14 Costituzione.

La richiesta di accesso domiciliare deve essere formulata, indicando con chiarezza e completezza gli elementi che, sulla base dell’attività investigativa previamente compiuta, legittimano l’esercizio di tale potere ispettivo. In tal senso, si è espressa la GdF nella richiamata circolare n.1/2018.

Come confermato in sede giurisprudenziale (Cassazione n. 16424/2002 e Cassazione n. 23824/2017), l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare costituisce un provvedimento amministrativo, il quale:

  • si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo;
  • ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dai verificatori (civili o militari) siano consistenti e idonei ad integrare gravi indizi.

E sempre gli Ermellini (Cassazione n. 21974/2009) hanno devoluto al giudice tributario, non semplicemente il controllo sull’adempimento dell’obbligo di motivazione del decreto di autorizzazione, ma l’apprezzamento circa la valenza indiziaria degli elementi indicati quali gravi indizi.

Della natura e funzione dell’autorizzazione si è occupata recentemente la stessa Corte di cassazione (ordinanza n. 27297/2023), confermando che il Giudice tributario, davanti al quale è in contestazione la pretesa impositiva avanzata sui risultati dell’accesso domiciliare, può essere chiamato a controllare l’esistenza del decreto del Pubblico Ministero e la presenza della motivazione.

Il requisito motivazionale – osservano gli Ermellini (nella richiamata ordinanza n. 27297/2023) – richiede che l’apprezzamento della gravità degli indizi sia esternabile, per poter essere sindacabile, sia pure in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente. Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale ha accertato che nella missiva della GdF, tesa a richiedere l’autorizzazione in parola, era fatto rimando a “elementi in possesso di questo reparto”, come gravi indizi di violazioni alle norme tributarie. Per gli Ermellini ciò “non soddisfa il requisito della motivazione come prescritto ex lege; infatti, per consentire al Procuratore della Repubblica un’attenta valutazione della fattispecie illecita segnalata, l’Ufficio richiedente l’autorizzazione deve formulare la richiesta evidenziando con chiarezza e completezza i “gravi indizi di violazione” richiesti dall’ articolo 52 del d.P.R. n. 633 del 1972”.

E’ vero, osservano i massimi giudici, che la motivazione possa esaurirsi anche in espressioni sintetiche di significato implicito, ovvero risolversi nel semplice richiamo alla nota dell’Organo di controllo che faccia riferimento ai gravi indizi di violazioni – in tal senso, Cassazione n. 16424/2002, secondo la quale “l’obbligo motivazionale deve ritenersi assolto nel caso in cui risultino indicate la nota e l’autorità richiedente, con la specificazione che il provvedimento trova causa e giustificazione nell’esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale, la cui valutazione dev’essere effettuata ex ante con prudente apprezzamento” –  ma è necessario che  tali gravi indizi siano espressamente indicatiquali, ad esempio, la mancata presentazione della dichiarazione, l’esiguità del reddito dichiarato rispetto a evidenti e certi indici di maggiore capacità contributiva, o ancora le relazioni significative con soggetti sottoposti a positiva attività di accertamento”.

E ciò, peraltro, non reca pregiudizio all’”effetto sorpresanei confronti del verificato, dal momento che, in questa fase, non è consentita al contribuente la partecipazione al procedimento di controllo.