4 Marzo 2024

Esterovestizione: si applica l’imposta di registro al conferimento immobiliare?

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

L’esterovestizione societaria è considerato uno dei principali fenomeni di evasione fiscale internazionale, che si concretizza nella fittizia localizzazione della residenza fiscale in Paesi o territori diversi dall’Italia (in ambito Ue o extra Ue), per sottrarsi agli adempimenti tributari previsti dall’ordinamento di reale appartenenza e beneficiare, nel contempo, di un regime fiscale più favorevole vigente altrove.

Prima della recente riforma fiscale, per stabilire la residenza fiscale di una società o di un ente, l’articolo 73, comma 3, Tuir, prevedeva che le società, gli enti ed i trust erano considerati residenti in Italia quando, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni), avevano in alternativa la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 301 del 28.12.2023, del D.Lgs. 209/2023, dal 2024 sono entrate in vigore le nuove regole anche in tema di fiscalità internazionale.

In particolare, la nuova formulazione dell’articolo 73 Tuir, in vigore dal 29.12.2023, prevede che «Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”.

Nello specifico, per espressa disposizione normativa, per gestione ordinaria si intende il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso, avendo anche riguardo al radicamento dell’attività in un determinato territorio.

Ciò significa che, attualmente sono considerate residenti in Italia le società, le associazioni e gli enti che, per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni), hanno nel territorio dello Stato:

  • la sede legale;
  • la sede di direzione effettiva;
  • la gestione ordinaria in via principale.

Sul punto:

  • la sede di direzione effettiva coincide con la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso (con contestuale recepimento del criterio di localizzazione della residenza fiscale adottato nella generalità delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni);
  • la gestione ordinaria è riferita, invece, al continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso (imponendo, quindi, una valutazione dell’effettivo radicamento della società, dell’ente o dell’associazione in un determinato territorio).

Di contro, per evitare fenomeni di doppia imposizione, continuano ad applicarsi le disposizioni previste dall’articolo 4, paragrafo 3 del modello OCSE, di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi.

Sulla base delle indicazioni diramate a livello internazionale, qualora una società sia considerata residente in due diversi Stati, la residenza fiscale della persona giuridica sarà individuata sulla base di un accordo tra le autorità competenti (denominato mutual agreement), che dovrà tenere conto:

  • del luogo di direzione effettiva (place of effective management);
  • del luogo di costituzione (the place where it is incorporated or otherwise constituted) e;
  • di ogni altro fattore rilevante (any other relevant factors).

In ordine alla potenziale applicazione dell’imposta di registro su un conferimento immobiliare, si è espressa la Corte di cassazione, con la sentenza n. 3386/2024, ove gli ermellini hanno tracciato importanti principi di diritto, non confermando la tesi espressa dal giudice di merito.

Gli ermellini hanno confermato che, ai sensi dell’articolo 73, comma 3, Tuir, «si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato».

Nella vicenda risolta dai giudici di Piazza Cavour una persona fisica residente in Italia conferiva, ad una società di diritto inglese, beni immobili di sua proprietà siti in Italia, in esecuzione di un aumento di capitale deliberato dalla predetta società.

L’atto era assoggettato all’imposta di registro nella misura fissa (ex articolo 4, nota IV, della parte I, della tariffa allegata al D.P.R. 131/1986), valutando che la società destinataria del conferimento aveva la sede legale o amministrativa in altro Stato membro dell’Unione Europea.

Di contro, l’Agenzia delle entrate notificava al contribuente un avviso di liquidazione di maggior imposta di registro con l’applicazione dell’aliquota proporzionale del 7% sul valore degli immobili conferiti, sul presupposto che la società operasse solo apparentemente all’estero, avendo invece in Italia il centro principale dei suoi interessi.

In sintesi, l’Agenzia delle entrate ha valutato che il contribuente aveva strumentalmente localizzato all’estero la propria residenza fiscale, al solo scopo di poter fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa, ritenendo che l’atto di conferimento immobiliare dovesse essere assoggettato all’imposta di registro calcolata in misura proporzionale sul valore dei beni conferiti.

La suprema Corte ha preliminarmente ricordato che, sulla base di un constante orientamento giurisprudenziale, la “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta a quella “legale” (che rispetto ad essa costituisce criterio di collegamento paritetico e alternativo), deve essere considerata coincidente con la “sede effettiva” della società intesa, in senso civilistico, come il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione della società e dove si convocano le assemblee, e cioè come il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari, in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (Cassazione n. 1544/2023, Cassazione n. 23150/2022, Cassazione n. 11710/2022, Cassazione n. 24872/2020, Cassazione n. 15184/2019).

Il contrasto del fenomeno dell’esterovestizione societaria assume, potenzialmente, anche valenza di principio generale dell’ordinamento applicabile non soltanto alle imposte sui redditi, ma anche alle imposte indirette, trovando il suo fondamento nel diritto tributario europeo, nel dovere costituzionale di partecipare alla spesa pubblica e nelle regole di derivazione Ue e Ocse (Cassazione n. 2869/2013).

Tuttavia, a parere della suprema Corte, il giudice di merito è incorso nella violazione delle norme in materia di presunzioni e di riparto dell’onere probatorio, secondo l’interpretazione che delle stesse è stata fornita dalla giurisprudenza di legittimità.

Infatti, in tema di prova per presunzioni, il giudice è anzitutto tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi:

  • in primo luogo, occorre effettuare una valutazione analitica degli elementi indiziari, per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria;
  • successivamente, è doveroso esperire una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi.

In definitiva, deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento» (Cassazione n. 21035/2023, Cassazione n. 6067/2023, Cassazione n. 5374/2017, Cassazione n. 23201/2015, Cassazione n. 9108/2012).