21 Febbraio 2024

Dichiarazione annuale e calcolo del plafond da utilizzare

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

In un precedente contributo abbiamo visto come il controllo del plafond utilizzato nel 2023, impone delle verifiche che vanno al di là di quanto si deve semplicemente inserire nel rigo VF17 della dichiarazione annuale Iva, prendendo semplicemente i dati emergenti dalla contabilità. In sostanza, il modello dichiarativo non evidenzia tutte le sfaccettature delle operazioni non soggette ad Iva in presenza di plafond.

Se queste “mancanze” del modello Iva si riflettono sul dato del plafond utilizzato lo scorso anno, da inserire nel rigo VF17, le stesse si riflettono in misura ancora maggiore sui dati che emergono dal rigo VE30 della dichiarazione, che è quello che dovrebbe dirci quanto plafond è spendibile nel corrente anno.

Il rigo VE30 è composto di 5 campi, di cui quattro sono dei “sotto-campi” che servono per splittare il valore complessivo del rigo nelle quattro categorie di operazioni che formano plafond:

  • le esportazioni;
  • le cessioni intracomunitarie;
  • le cessioni verso San Marino;
  • le operazioni assimilate.

Ovviamente, nel mondo informatico, tali campi vengono compilati automaticamente dal software in funzione dei vari codici Iva che sono stati utilizzati nell’emissione delle fatture in corso d’anno. Se, quindi, in corso d’anno si fossero fatturate come esportazioni delle cessioni a viaggiatori extracomunitari (ex articolo 38-quater, D.P.R. 633/1972) o delle cessioni di beni fuori campo Iva per mancanza del presupposto territoriale – da fatturare con l’articolo 7-bis, D.P.R. 633/1972, se relative a merci che sono partite dall’estero – chiaramente tali operazioni confluirebbero erroneamente nel rigo VE30 e si sarebbe, quindi, convinti di avere un plafond disponibile maggiore di quello reale. In questo senso, un primo controllo che potrebbe essere fatto – magari a campione – sarebbe quello di verificare le fatture per esportazioni, e verificare che non si nascondano operazioni che esportazioni non sono; in questa categoria, rientrano, ad esempio, le esportazioni doganali non Iva, cioè operazioni per le quali c’è una bolla doganale, ma non c’è il trasferimento di proprietà tra due soggetti. I casi potrebbero essere quelli di beni strumentali inviati fuori dalla Ue per esigenze dell’impresa o di beni inviati per essere lavorati, nei quali la procedura corretta è quella di emettere – ai soli fini dell’espletamento delle operazioni doganali – un documento che valorizzi i beni (fattura pro-forma, lista valorizzata) e non certamente una fattura a sé stessi o al lavorante.

Fatto eventualmente questo primo controllo, il successivo potrebbero essere quello di controllare se nel campo 2 è confluito anche il valore di esportazioni gratuite. Per le stesse, è prassi emettere una fattura non imponibile al cliente, avvertendolo che la fattura non è da pagare, ma tali operazioni non concorrono a formare il plafond.

Un terzo controllo da suggerire è quello di verificare nel campo 5, dedicato alle altre operazioni assimilate alle esportazioni, l’eventuale presenza di operazioni fatturate con il titolo di non imponibilità ai sensi dell’articolo 8-bis o 9. Tali operazioni, infatti, formano plafond, solo se sono effettuate nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa; pertanto, una eventuale fatturazione occasionale di tali operazioni non concorre alla formazione del plafond.

Ulteriore controllo, con riferimento al campo 3, legato alle cessioni intracomunitarie, è l’eventuale presenza di “cessioni a sé stessi” per i soggetti che sono identificati in altro Paese UE. Errore comune è quello di fatturare la cessione a sé stessi a valore corrente delle merci, mentre la normativa prevede che la base imponibile di tali operazioni sia il costo. Se, ad esempio, una impresa che produce scarpe è identificata in Francia, dove ha un deposito dal quale serve i clienti francesi, ai quali vende le scarpe ad euro 200 il paio, quando invia le scarpe dalla fabbrica italiana al deposito francese deve emettere fattura non imponibile dalla partita Iva italiana a quella francese non per euro 200 il paio, ma per il minore costo di produzione.

Il modello dichiarativo Iva, poi, non evidenzia se una parte del plafond che emerge dal rigo VE30 è vincolato, ovvero spendibile solo per acquistare merci che devono essere esportate nei sei mesi successivi. Tale plafond ha il vincolo quando l’operazione di vendita (che ha generato il plafond) è stata preceduta da un acquisto, con spedizione diretta dal fornitore al cliente; in sostanza, il plafond vincolato lo hanno gli intermediari di operazioni triangolari. In questo caso, il suggerimento è quello di controllare eventuali acquisti non imponibili, a norma dell’articolo 8, D.P.R. 633/1972 e dell’articolo 58, D.L. 331/1993 e gli acquisti intracomunitari integrati senza Iva, ai sensi dell’articolo 40, D.L. 331/1993.

Fatti tali controlli, ricordiamo che, nel corso dell’anno, si dovranno monitorare ulteriori situazioni (o utilizzare il plafond con “buon senso”), tenendo conto che lo stesso potrebbe diminuire in corso d’anno, qualora lo stesso sia stato formato con fatture di acconto relative a merce che poi non è uscita, fatture non imponibili ex articolo 8, comma 1, Lett. b), D.P.R. 633/1972,  per le quali, poi, si sia dovuto regolarizzare con Iva la mancata uscita, o la concessione di sconti su operazioni che hanno concorso a formare il plafond. In tutte queste circostanze, dove viene meno il titolo di non imponibilità o l’importo, quello che diminuisce è il plafond dell’anno in cui si è registrata l’operazione originaria, e non quello dell’anno in cui si è verificato l’evento.