15 Novembre 2013

Contratto di vendita senza clausola IVA: il prezzo si considera comprensivo dell’imposta

di Luigi Ferrajoli
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In un contratto di compravendita il fornitore del bene è la persona tenuta a versare l’IVA dovuta sull’operazione imponibile. Qualora nell’indicazione del prezzo non sia fatta alcuna menzione all’IVA ed il fornitore non abbia la possibilità di rivalersi sull’acquirente tale prezzo deve essere considerato come già comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto.

Tale principio è stato dichiarato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza n. 249 del 07/11/2013 chiamata ad interpretare in via pregiudiziale la direttiva 2006/112/CE del Consiglio (c.d. Direttiva IVA).

Nel caso sottoposto alla Corte di Giustizia i due contraenti avevano stipulato numerosi contratti di compravendita senza inserire alcuna clausola riguardante l’IVA.

A seguito di controlli sulle operazioni realizzate, l’amministrazione tributaria rumena rilevava che l’attività posta in essere presentava le caratteristiche di un’attività economica. I contraenti venivano qualificati soggetti passivi IVA e l’amministrazione emetteva nei loro confronti avvisi di accertamento con i quali richiedeva il pagamento dell’imposta calcolata sul prezzo pattuito tra le parti, maggiorata di penalità di mora.

Nel procedimento, incardinato da uno dei contraenti, si rilevava che la prassi seguita dall’ufficio viola, tra gli altri, il principio della libertà contrattuale. In tal modo, l’IVA rappresentava elemento aggiuntivo del prezzo e non una componente dello stesso. Esulando dall’oggetto del contratto, l’imposta non poteva essere recuperata in capo all’acquirente.

Nel corso del procedimento avviato dall’altro contraente, si affermava che l’aggiunta dell’IVA alla somma pagata come corrispettivo della compravendita costituiva una violazione dell’oggetto del contratto stipulato tra le parti e produceva effetti contrari alla finalità dell’IVA. L’imposta, infatti, non poteva essere posta a carico del fornitore, poiché, per sua natura, è un’imposta sul consumo a carico del consumatore finale. Nel silenzio del contratto l’imposta doveva essere applicata all’importo pari al prezzo pattuito tra le parti, diminuito del valore totale dell’imposta, di modo che la somma pagata dal compratore avrebbe coperto tanto il prezzo dovuto al fornitore quanto l’IVA.

I due contraenti proponevano, separatamente, ricorso dinanzi alle competenti Corte di Appello, che rigettavano gli stessi. Le pronunce venivano, quindi, impugnate in Cassazione, in particolare per erroneità della determinazione della base imponibile.

La Suprema Corte rumena, a seguito della riunione dei due procedimenti, poneva dubbi circa l’impostazione seguita dall’amministrazione per quanto concerne la nozione di “corrispettivo versato” e la portata degli artt. 73 e 78 della Direttiva IVA nel caso in cui, in una compravendita, le parti non abbiano menzionato nulla riguardo IVA. Pertanto, sospendeva la causa e rinviava la questione pregiudiziale ai giudici europei.

Le parti e la Commissione europea osservano che l’IVA è per sua natura un’imposta sul consumo, la quale deve essere sopportata dal consumatore finale e che, pertanto, non può essere a carico del fornitore. L’IVA dovrebbe essere una componente del prezzo e non un elemento che si aggiunge a quest’ultimo.

Secondo il Governo rumeno, al fine di determinare il corrispettivo ottenuto dal fornitore, poiché detto corrispettivo ha un valore soggettivo, occorre riferirsi alla volontà delle parti e considerare che esso è costituito dall’importo che il fornitore voleva ricevere e che l’acquirente era disposto a pagare.

La Corte rileva che secondo la Direttiva IVA, la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio effettuate a titolo oneroso è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto dal soggetto passivo. Tale regola deve essere applicata in conformità con il principio che il sistema dell’IVA mira a gravare unicamente sul consumatore finale.

L’imposta è proporzionale al prezzo dei beni e servizi interessati, per cui i fornitori contribuiscono al pagamento dell’IVA nella stessa proporzione, in rapporto al totale dell’importo percepito per i beni venduti.

Nel caso di specie il giudice nazionale deve verificare se il diritto interno lasci al fornitore la possibilità di recuperare presso gli acquirenti l’IVA riscossa successivamente dall’amministrazione tributaria.

Alla luce delle considerazioni suesposte la Corte conclude dichiarando che la Direttiva IVA, in particolare gli artt. 73 e 78, deve essere interpretata nel senso che, qualora le parti abbiano stabilito il prezzo di un bene senza menzionare nulla riguardo all’IVA e il fornitore di tale bene sia la persona tenuta a versare l’IVA dovuta sull’operazione imponibile, il prezzo pattuito, nel caso in cui il fornitore non abbia la possibilità di recuperare dall’acquirente l’IVA riscossa dall’amministrazione tributaria, deve essere considerato come già comprensivo di IVA.