4 Febbraio 2015

Conoscere il trust

di Sergio Pellegrino
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Inizia da oggi una rubrica settimanale, curata da Sergio Pellegrino, dedicata al trust, attraverso la quale cercheremo di conoscere meglio assieme un istituto adatto a soddisfare molteplici esigenze dei nostri clienti e che può conseguentemente rappresentare un’interessante opportunità professionale.


 

Partendo dal presupposto che chi si avvicina al trust poi se ne appassiona perdutamente, ma anche che bisogna vincere delle diffidenze iniziali che portano molti a ritenerlo, a seconda dei casi, troppo complesso ovvero troppo oscuro, abbiamo pensato potesse essere utile creare una rubrica settimanale dedicata a questo istituto per cercare di renderlo più “familiare” ai nostri Lettori che decideranno di dedicarci un po’ del loro tempo.

Penso infatti che il trust possa rappresentare un’importante opportunità per quelli di noi che cercano di affiancare all’attività tradizionale di studio un’attività che sia maggiormente stimolante dal punto di vista intellettuale e, non bisogna vergognarsi a dirlo, promettente da quello economico.

Volendo sfatare un primo pregiudizio, il trust non è un “prodotto” che può funzionare soltanto con i grandi patrimoni, come molti credono, ma anche la clientela media dei nostri studi può rappresentare un bacino di utenza importante al quale proporre l’istituzione di un trust: quando il cliente ne inizia a comprendere i meccanismi e a percepirne i benefici, è garantito che improvvisamente ci ascolterà con un interesse ed un coinvolgimento che non abbiamo mai riscontrato, e non potremo mai riscontrare, quando gli spieghiamo una norma fiscale o un nuovo adempimento imposto dal legislatore. Queste sono cose che “emozionano” soltanto noi, che soffriamo di una sorta di sindrome di Stoccolma nei confronti di un sistema tributario assurdo ma che proprio per questo ci “intriga”, ma non sono percepite come utili e “di valore” da parte dei nostri clienti (e non possiamo certo dargli torto).

Un altro possibile pregiudizio è che il trust sia qualcosa di “poco pulito”: più di un cliente mi ha riferito che, cercando di spiegare a terzi la volontà di istituire un trust, spesso la reazione che essi hanno percepito è stata di diffidenza, come se avessero qualcosa da nascondere e il trust a questo servisse. Il trust, anche quando lo “stimolo” iniziale è meramente egoistico (come quando viene perseguito principalmente il risparmio fiscale o quello previdenziale, ovvero la mera protezione del patrimonio), in realtà ha sempre in nuce delle finalità nobili, che emergono con prepotenza quando gli accadimenti importanti della vita prevalgono e mettono in secondo piano tutto il resto.

Un terzo pregiudizio che va combattuto è quello relativo all’impatto della nuova disciplina fiscale dei dividendi ricevuti dai trust, sensibilmente “peggiorata” dalla legge di stabilità (ma comunque sempre migliore rispetto a quella delle partecipazioni detenute direttamente dalle persone fisiche): quei professionisti e clienti che hanno “stoppato” l’istituzione di trust alla luce della modifica normativa evidentemente non ne hanno colto appieno il valore, che prescinde dal mero risparmio fiscale (che, naturalmente, quando c’è, nessuno di noi disdegna).

Tutti questi sono appunto pregiudizi, che derivano dalla scarsa familiarità con un istituto che, prima di essere giudicato, deve essere conosciuto ed è proprio questo l’obiettivo della nostra rubrica.

Lo sforzo per i neofiti della materia sarà grande soprattutto all’inizio, perché, per chi come noi è abituato a cercare (… trovare è un’altra cosa) nelle disposizioni di legge le soluzioni alle diverse problematiche che incontriamo nella nostra vista professionale, non è semplice inquadrare in un perimetro “sicuro” un istituto eclettico e multiforme come il trust.

Il meccanismo “base” del trust in realtà non è complesso e può essere sintetizzato in poche parole: attraverso il trust un soggetto (il disponente), affida e trasferisce in proprietà ad un altro soggetto di sua fiducia (il trustee), uno o più beni, affinché questi ne assuma il controllo e li gestisca per le finalità stabilite dal disponente e nell’interesse di uno o più beneficiari.

In realtà, il punto dal quale partire per iniziare a conoscere il trust è la constatazione che in realtà non esiste un solo tipo di trust: i trust sono (e debbono essere) ciascuno diverso dagli altri perché diverse sono le finalità con le quali vengono istituiti e, quando anche le finalità sono le medesime, differenti sono le esigenze dei disponenti alle quali devono rispondere.

In questa necessaria “originalità” risiede anche l’opportunità professionale: il trust va costruito su misura per rispondere ai bisogni dei nostri clienti, va con loro condiviso e “digerito”, va gestito successivamente alla luce dei diversi e magari non previsti accadimenti che la vita riserva ai suoi “protagonisti”.

A partire da mercoledì prossimo cercheremo allora di conoscere meglio il trust, di comprenderne i meccanismi e le opportunità, per i nostri clienti e di conseguenza anche per noi.