3 Febbraio 2015

Cessione di contratto preliminare: l’Agenzia prende una posizione

di Maria Paola Cattani
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Con la R.M. n. 6/E/2015, in risposta ad un interpello presentato da un contribuente sul trattamento fiscale delle plusvalenze derivanti da cessione di contratto preliminare, l’Agenzia fornisce finalmente delle indicazioni chiare sul trattamento da riservare ai fini dell’imposizione diretta.

Il contribuente, persona fisica non esercente attività di lavoro autonomo o d’impresa, aveva stipulato un contratto preliminare con un soggetto Iva, per l’acquisto di una unità abitativa. Trovandosi poi nelle condizioni di non poter procedere al rogito definitivo, l’istante desiderava conoscere l’impatto fiscale, in termini di imposizione diretta, qualora fosse riuscito a cedere il preliminare per un corrispettivo maggiore dell’acconto originariamente versato in sede di stipula del contratto.

Si precisa che questo caso, da un punto di vista meramente civilistico, si differenzia dall’altra ipotesi ricorrente di “preliminare per persona da nominare” (ove in ogni caso si verifica una modificazione soggettiva del preliminare), in quanto il subentro del terzo nella posizione del promittente acquirente originario, nella fattispecie in esame, avviene a titolo derivato e con efficacia ex nunc, mentre, nel caso del preliminare per persona da nominare, il terzo nominato subentra nella posizione del cedente con effetto retroattivo, ossia dal momento della stipulazione del contratto preliminare. Tale distinzione è rilevante ai fini delle imposte indirette, in quanto la possibilità di recuperare l’imposta di registro o l’Iva versata dal precedente promissario acquirente muta a seconda che la vendita sia soggetta o meno ad Iva. Tuttavia, non essendo stato, tale aspetto, trattato nella Risoluzione in argomento, sarà oggetto di specifico esame in un prossimo intervento; per gli aspetti di imposizione diretta del preliminare con persona da nominare, invece, si rimanda ad un precedente articolo pubblicato su questo quotidiano

L’istante, con l’interpello citato, ha timidamente, e con poco successo ovviamente, tentato di proporre come soluzione la non tassabilità ai fini delle imposte dirette dell’eventuale eccedenza positiva tra prezzo di cessione del contratto ed acconto inizialmente versato. La motivazione addotta si fondava sul fatto che, non essendo la fattispecie prospettata riconducibile ad alcuna norma impositrice vigente e non essendo consentita, in ambito tributario, alcuna interpretazione analogica, l’unica conclusione possibile era quella di non far concorrere l’eccedenza alla formazione del reddito imponibile.

Le argomentazioni prospettate nell’interpello erano state in precedenza assunte anche da parte della dottrina, che, in nome del principio di certezza del diritto tributario, sosteneva la tesi della non imponibilità di tale corrispettivo percepito fuori dall’esercizio dell’ impresa: l’art. 67 del Tuir, difatti, pur rappresentando una categoria residuale, contiene un elenco esaustivo delle tipologie di redditi annoverabili tra quelli “diversi” e, tra queste, manca una disposizione che attragga a tassazione in maniera inequivocabile la fattispecie in parola.

L’Agenzia delle entrate, però, non è stata dello stesso avviso e, si potrebbe dire prevedibilmente, abbraccia la tesi dell’imponibilità. Analizzando la fattispecie, la Risoluzione rileva come “il contratto preliminare non ha effetti reali, vale a dire non trasferisce la proprietà del bene, ma produce esclusivamente effetti obbligatori, nel senso che comporta il sorgere di determinati impegni in capo alle parti contraenti”.

Pertanto, affermando che il reddito debba residualmente annoverarsi tra i “redditi diversi” ex art. 67 del Tuir, riconduce l’eventuale eccedenza percepita per il trasferimento del contratto alla categoria indicata alla lettera l), dei corrispettivi percepiti per l’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.

Si precisa che tale orientamento era stato in precedenza già sostenuto dalla giurisprudenza tributaria, si veda, tra tutte, la Sentenza n. 72 del 20.09.2013 della C.T.R. dell’Emilia Romagna, che aveva appunto ricondotto il corrispettivo di cessione di preliminare ai redditi diversi, lettera l), in virtù del fatto che “il cedente assume l’obbligo verso il cessionario di farlo subentrare nel contratto originario ottenendo l’assenso dell’iniziale venditore”.

Analoga motivazione è addotta dall’Agenzia nella Risoluzione in argomento: il contratto preliminare comporta per le parti esclusivamente effetti obbligatori e, nel caso prospettato, il contribuente “assume l’obbligo di non essere presente al momento della stipula del contratto definitivo e, di conseguenza, di non sottoscrivere lo stesso”.

L’Agenzia, con questa occasione, conferma invece quanto sostenuto praticamente all’unanimità dalla dottrina: non è possibile inquadrare il corrispettivo della predetta cessione fra i redditi di cui al comma 1, lettera b) dell’art. 67, dal momento che il contratto preliminare pone tra le parti solo vincoli obbligatori, rimandando ad una fase successiva l’effettiva traslazione dei diritti reali, mentre tale disposizione sottopone a tassazione il corrispettivo conseguito dall’effettiva cessione di beni immobili e non il semplice obbligo di cedere il bene.

Conseguentemente, ai fini della determinazione dell’importo da sottoporre a tassazione, a fronte dell’assunzione dell’obbligo in argomento, sarà da applicarsi quanto stabilito dall’art. 71, comma 2, del Tuir, secondo il quale il reddito è determinato dalla differenza fra l’ammontare percepito nel periodo d’imposta e le spese specificamente inerenti alla sua produzione.