21 Marzo 2015

Beni destinati alla vendita: producono ricavi o plusvalenze?

di Comitato di redazione
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Con la prima applicazione del contenuto dell’OIC 16 al bilancio di esercizio 2014, si pone (o ripropone) il tema della corretta classificazione dei beni già strumentali ma destinati alla vendita; tale destinazione impone la rimozione della voce dall’attivo immobilizzato ed una più corretta ricollocazione nell’attivo circolante.

Al riguardo, il paragrafo 72 del documento sancisce che:

  • le immobilizzazioni materiali, nel momento in cui sono destinate all’alienazione, sono riclassificate nell’attivo circolante e quindi valutate al minore tra il valore netto contabile e il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato (articolo 2426, n. 9, codice civile);
  • per valore desumibile dall’andamento di mercato si intende il valore netto di realizzazione, ossia, il prezzo di vendita nel corso della normale gestione al netto dei costi diretti di vendita e dismissione;
  • i beni destinati alla vendita non sono più oggetto di ammortamento.

Al precedente paragrafo 19 si afferma che le immobilizzazioni materiali che la società decide di destinare alla vendita sono classificate separatamente dalle immobilizzazioni materiali, ossia in un’apposita voce dell’attivo circolante.

Tale riclassifica è effettuata se sussistono i seguenti requisiti:

  • le immobilizzazioni sono vendibili alle loro condizioni attuali o non richiedono modifiche tali da differirne l’alienazione;
  • la vendita appare altamente probabile alla luce delle iniziative intraprese, del prezzo previsto e delle condizioni di mercato;
  • l’operazione dovrebbe concludersi nel breve termine.

Ipotizzando che ricorrano questi requisiti, il comportamento contabile può generare due conseguenze fiscali immediate:

  • ai fini del regime delle società di comodo, il bene non concorre più al calcolo del test di operatività (quantomeno in relazione al periodo 2014, mentre resta presente nel computo della media per le annualità 2013 e 2012); la circostanza dovrebbe essere considerata pacifica dalla lettura della Circolare n. 25/E/2007;
  • ai fini delle conseguenze prodotte da una eventuale cessione, si dovrà verificare se si produca un ricavo, oppure si determini la necessità di determinare una plusvalenza o minusvalenza.

Su tale ultimo aspetto sono proposte in dottrina due tesi tra loro contrapposte.

Secondo la prima, che noi preferiamo in quanto si inserisce in modo coerente in una interpretazione sistematica della norma, il bene acquisisce a tutti gli effetti la qualifica di bene merce e, per conseguenza, dalla sua cessione non può che prodursi un ricavo.

Pertanto, risulta preclusa qualsiasi possibilità di imposizione frazionata.

Secondo la seconda tesi, invece, si potrebbe individuare il prodursi di una plusvalenza (o minusvalenza) per i seguenti motivi:

  1. il comma 1 dell’art. 86 del Tuir si riferisce alla cessione di beni relativi all’impresa, sia pure diversi da quelli che formano oggetto dell’attività (appunto i beni merce);
  2. la diversa classificazione contabile nell’attivo circolante non sarebbe (da sola) in grado di attribuire al bene riclassificato la natura di bene merce.

Per meglio comprendere, si può ricorrere ad un esempio. Se una società che produce arredamenti decide di smobilizzare l’immobile che costituiva la vecchia sede produttiva e lo colloca nell’attivo circolante, continua ad essere una società che ha per oggetto la produzione e la vendita di arredamenti e non certo di immobili.

Aderendo a questa seconda chiave di lettura, dunque, si potrebbe giungere a beneficiare del miglior trattamento facoltativo di rateazione della plusvalenza, ove ricorrano i requisiti menzionati dall’art. 86 del Tuir.

La ricostruzione può essere affascinante e certamente gradita al cliente, che riuscirebbe a diluire nel tempo il pagamento delle imposte; pur tuttavia, crediamo che questa soluzione non possa essere pienamente soddisfacente in quanto intende perseguire una distinzione unicamente finalizzata al godimento di un beneficio fiscale.

Probabilmente, l’equivoco che contrappone le differenti soluzioni prende le mosse da una sorta di “presunta obbligatorietà” del comportamento suggerito dal documento OIC, obbligatorietà pur subordinata alla contemporanea presenza di requisiti che non sono sempre presenti.

Pertanto, potremmo concludere che l’unico modo per poter guadagnare la tassazione frazionata della plusvalenza sia quello di mantenere il bene iscritto nelle immobilizzazioni, con le ovvie conseguenze negative in tema di società di comodo.