Soggetta a Iva la consulenza legale pro bono se l’onorario è dovuto dalla parte soccombente
di Marco PeiroloCon le conclusioni presentate l’8 maggio 2025, nella causa C-744/23, l’avvocato generale presso la Corte di Giustizia UE ha esaminato l’ambito applicativo dell’articolo 2, § 1, lettera c), Direttiva 2006/112/CE, che qualifica come operazioni soggette a Iva le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale.
Si è trattato, in particolare, di stabilire se una prestazione di servizi resa a titolo gratuito da uno studio legale al suo cliente, nell’ambito della quale, in caso di successo, la parte soccombente è tenuta a versare un onorario previsto dalla legge, costituisca una prestazione a titolo oneroso soggetta a Iva.
In primo luogo, l’avvocato UE ha osservato che, nell’ambito di un’imposta generale sui consumi, la nozione di prestazione di servizi a titolo oneroso deve essere interpretata estensivamente, dovendosi ritenere che l’onerosità ricorra anche quando il corrispettivo della prestazione resa non venga versato dalla controparte contrattuale, bensì da un altro soggetto, come si desume dall’articolo 73, Direttiva 2006/112/CE, che ricomprende nella base imponibile anche i pagamenti effettuati da un terzo in relazione all’operazione posta in essere.
Pertanto, qualora la parte soccombente sia tenuta a versare per legge un onorario minimo allo studio legale, la consulenza legale riveste carattere oneroso, anche se non è ancora certo se il compenso verrà pagato, in quanto ciò avviene solo in caso di successo.
In secondo luogo, riguardo al nesso diretto tra la prestazione e il corrispettivo percepito, l’avvocato UE ha rilevato che la certezza dell’ammontare del corrispettivo non è costitutiva dell’esistenza di un’operazione imponibile.
La disciplina Iva, infatti, non richiede che il corrispettivo debba essere definitivamente certo già al momento della prestazione, tant’è che – come emerge dagli articoli 90 e 66, Direttiva 2006/112/CE – l’effettivo ammontare del corrispettivo è rilevante ai fini, rispettivamente, della determinazione della base imponibile e dell’individuazione del momento di esigibilità dell’imposta.
Sempre in merito alla valutazione del nesso diretto, la giurisprudenza comunitaria ha affermato che il criterio relativo all’esistenza di un rapporto giuridico nell’ambito del quale è effettuata l’operazione e pagato il corrispettivo deve essere interpretato in modo tale da non violare il principio della neutralità fiscale e, quindi, in un’accezione ampia. Di conseguenza, se l’operazione imponibile sussiste quando il cliente paga direttamente lo studio legale, la conclusione non può essere diversa qualora l’onorario debba essere pagato da un terzo.
Pertanto, ha sottolineato l’avvocato UE, l’onorario minimo che la parte soccombente deve pagare per legge allo studio legale costituisce un corrispettivo, ai sensi dell’articolo 2, § 1, lettera c), Direttiva 2006/112/CE, e deve essere considerato come pagamento di un terzo per la consulenza legale del cliente vittorioso, ai sensi dell’articolo 73 della stessa Direttiva.
A questa conclusione non ostano le sentenze Baštová (causa C-432/15 del 10 novembre 2016) e Tolsma (causa C-16/93 del 3 marzo 1994).
La sentenza Tolsma riguardava il caso di un musicista di strada al quale i passanti davano del denaro senza essere obbligati contrattualmente. La Corte ha ritenuto determinante il fatto che i passanti non avessero chiesto che il musicista suonasse per loro; inoltre, essi versavano le somme non già in funzione della prestazione musicale, ma per motivazioni soggettive, per esempio per una questione di simpatia. Tali oblazioni – sempre secondo la Corte – sono infatti essenzialmente volontarie (o gratuite) ed aleatorie.
La fattispecie oggetto delle conclusioni dell’avvocato UE non è equiparabile al caso oggetto della sentenza Tolsma. La parte soccombente, infatti, non paga in funzione di motivazioni personali o in base a considerazioni di simpatia. Il pagamento effettuato dal soggetto soccombente, inoltre, non è né volontario né aleatorio, essendo determinato, invece, nell’an e nel quantum, dalla legge.
La sentenza Baštová, invece, verteva sulla questione se il premio del vincitore di una gara ippica potesse essere considerato come il corrispettivo della prestazione resa dal vincitore stesso. La Corte ha risposto in senso negativo, ma ha motivato tale conclusione fasi quasi esclusivamente riferimento alla circostanza che l’ottenimento del premio dipendeva dal conseguimento di un determinato risultato al termine della competizione ed era sottoposto ad una certa alea. Quest’ultima dovrebbe escludere l’esistenza di un nesso diretto tra la messa a disposizione del cavallo e la vincita del premio, in quanto l’esistenza di una prestazione deve essere valutata oggettivamente e deve sussistere a prescindere delle finalità e dai risultati dell’operazione.
Nel caso di specie, l’alea relativo al corrispettivo si manifesta esclusivamente in relazione all’importo dell’imposta e al momento della sua esigibilità, ma non in relazione all’esistenza di una prestazione di servizi a titolo oneroso.
Sotto questo aspetto, onorari variabili (per esempio il 10% di un prezzo di acquisto ancora incerto), onorari subordinati a determinate condizioni (per esempio onorari basati sull’esito della causa) o onorari fittizi (in assenza di un accordo concreto, la legge presume, tramite una finzione, che sia stato pattuito l’onorario abituale) non incidono, nonostante l’alea ad essi connessa, sull’esistenza di una prestazione di servizi a titolo oneroso, per la quale viene pagato il rispettivo onorario.
La conclusione nella sentenza Baštová è corretta, in quanto il premio non fa rifermento ad un’attività (la partecipazione alla corsa), bensì costituisce unicamente la ricompensa per la vittoria, che non è, però, una prestazione di servizi che il vincitore può procurare ad un altro soggetto. È questo che distingue il premio dal compenso per la partecipazione ad una corsa. La partecipazione ad una corsa può costituire una prestazione nei confronti dell’organizzatore qualora quest’ultimo versi un compenso per la partecipazione.
Per le considerazioni esposte, secondo l’avvocato UE, lo studio legale ha fornito al cliente una prestazione soggetta ad imposta ed è, pertanto, tenuto a riscuotere l’Iva e a versarla all’Erario, con la conseguenza che la parte soccombente è parimenti tenuta a versare l’imposta allo studio legale.


