19 Ottobre 2016

La qualifica dell’usufrutto immobiliare (anche) ai fini territoriali

di Marco Peirolo
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In un precedente intervento è stata evidenziata la necessità di una rivisitazione dei chiarimenti offerti dall’Agenzia delle Entrate non conformi al nuovo quadro interpretativo risultante dalle disposizioni della Direttiva IVA introdotte dal Reg. UE n. 1042/2013, giuridicamente vincolanti per tutti gli Stati membri della UE dal 1° gennaio 2017.

È interessante chiedersi se tale esigenza si ponga anche per l’usufrutto immobiliare, rispetto al quale l’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 37/E/2011 (§ 3.1.1), ha specificato che non rientra nel criterio territoriale dell’articolo 7-quater, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 basato sul luogo di ubicazione dell’immobile oggetto di usufrutto.

Il motivo, almeno all’apparenza, è semplice: nella normativa nazionale, la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento su beni immobili – qual è l’usufrutto – dà luogo ad una cessione di beni ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del decreto IVA, sicché l’operazione è riconducibile ai criteri territoriali previsti per le cessioni e non a quelli stabiliti per le prestazioni. In concreto, il luogo impositivo deve essere individuato in funzione dei parametri dettati dall’articolo 7-bis del decreto IVA, che definisce il criterio di collegamento con il territorio dello Stato delle cessioni di beni, distinguendo a seconda che il bene sia mobile e materiale piuttosto che immobile.

Tale classificazione risulta coerente con la normativa unionale, che accorda agli Stati membri la facoltà di considerare “beni materiali”, tra gli altri, “i diritti reali che conferiscono al loro titolare un potere d’uso sui beni immobili”.

Fermo restando che lo Stato italiano si è avvalso della facoltà concessa dall’articolo 15, par. 2, della Direttiva n. 2006/112/C (peraltro già nel testo originario dell’articolo 2 del D.P.R. n. 633/1972), occorre chiedersi se l’usufrutto su bene immobile sia sempre assimilabile ad un “bene”, in particolar modo nel caso in cui tale diritto sia costituito per una durata limitata.

La questione non è nuova ed anzi è stata affrontata dalla stessa Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 405 del 2008, pervenendo però al risultato opposto, ossia alla qualificazione dell’usufrutto come “servizio”.

Alla domanda posta dal contribuente sulla categoria di appartenenza dell’usufrutto concesso, per la durata di 15 anni, su beni immobili, l’Agenzia conclude affermando che “l’usufrutto presenta la caratteristica fondamentale, che lo accomuna alla locazione, di conferire all’interessato, per una durata convenuta e dietro corrispettivo, il diritto di occupare un immobile come se ne fosse il proprietario e di escludere qualsiasi altra persona dal beneficio di un tale diritto”.

L’indicazione recepisce il pensiero della Corte di giustizia, che nella sentenza Goed Wonen (causa C-326/99 del 4 ottobre 2001), riguardante la normativa olandese, si è pronunciata favorevolmente sull’equiparazione della costituzione, per una durata limitata, di un diritto di usufrutto su beni immobili alla locazione o all’affitto di tali beni, facendo presente, in via preliminare, che la Direttiva IVA non definisce la nozione di locazione e di affitto e nemmeno rinvia alle rispettive definizioni adottate a tale riguardo dagli Stati membri.

La nozioni di affitto e di locazione contenute nelle norme unionali in materia di IVA sono più ampie di quelle sancite dai diversi diritti nazionali e, benché l’usufrutto presenti caratteristiche che lo distinguono dall’affitto e dalla locazione, tali particolarità devono considerarsi secondarie rispetto al fatto che, sul piano economico, un diritto come l’usufrutto, al pari dell’affitto e della locazione, presenta la caratteristica fondamentale comune di mettere a disposizione di un soggetto un bene per una durata convenuta e dietro corrispettivo.

Al di là della correttezza o meno della conclusione raggiunta dall’Agenzia delle Entrate (essendo il contesto normativo preso a riferimento dalla sentenza Goed Wonen diverso da quello italiano), dovrebbe ritenersi quantomeno possibile qualificare l’usufrutto come prestazione, anziché come cessione, se ricorrono ragioni di carattere antielusivo, dirette essenzialmente ad evitare che lo strumento dell’usufrutto sia utilizzato come escamotage per evitare la perdita, in tutto o in parte, dell’IVA assolta “a monte”.

Tale ipotesi si verifica, pertanto, quando l’obiettivo del contribuente sia quello di aggirare la disposizione che prevede l’applicazione del regime di esenzione all’operazione realizzata sul piano sostanziale.

Può richiamarsi, al riguardo, il caso risolto dalla Corte, in cui è verosimile che il costruttore intendesse, allo stesso tempo, non vendere l’immobile e non perdere la detrazione operata in sede di costruzione ponendo in essere una locazione in esenzione. L’espediente è, dunque, rappresentato dalla cessione dell’usufrutto che, beneficiando dell’imponibilità, non incide sulla detrazione operata “a monte”, che risulterebbe invece inevitabilmente compromessa se l’operatore concedesse l’immobile in locazione.

Ritornando alla domanda posta in apertura, ossia se i chiarimenti forniti dalla circolare n. 37/E/2011 sul luogo impositivo dei servizi immobiliari necessitino di una rivisitazione alla luce delle norme interpretative della Direttiva IVA che entreranno in vigore dall’anno prossimo, è dato osservare che la qualificazione dell’usufrutto come servizio è confermata dall’articolo 31-bis, par. 2, lett. j), del Reg. UE n. 282/2011, che riconduce nell’ambito della deroga territoriale “la cessione o il trasferimento di diritti, diversi da quelli di cui alle lettere h) e i), per l’utilizzo di un bene immobile o di sue parti (…)”.

Ora, se si considera che anche la locazione finanziaria e la locazione di beni immobili rientrano espressamente tra i servizi immobiliari a norma della lett. h), può concludersi che, ai fini dell’individuazione del luogo impositivo dell’operazione, trova applicazione il criterio del luogo di ubicazione dell’immobile indipendentemente dalla questione se l’usufrutto sia classificabile nella categoria delle cessioni o in quella, dicotomica, delle prestazioni.

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