15 Marzo 2017

Maggiore affidabilità delle valutazioni con i PIV

di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365
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I Principi Italiani di Valutazione (PIV) emanati dall’Organismo Italiano di Valutazione (OIV) non devono essere obbligatoriamente utilizzati nell’ambito dei processi di valutazione, ma rappresentano delle linee guida utili per garantire una maggiore affidabilità.

I PIV, infatti, si ispirano agli IVS (International Valuation Standards), pur essendo caratterizzati da un maggiore dettaglio ed essendo più concentrati sulla prassi operativa italiana.

Si ritiene tra l’altro utile precisare che i PIV non trovano applicazione soltanto nell’ambito dei processi di valutazione d’azienda ma si occupano di tutte le valutazioni economiche, e non si focalizzano soltanto sulle valutazioni in senso stretto ma richiamano tutte le tipologie di lavori che possono essere svolti dagli esperti.

A tal proposito giova precisare che il PIV I.4.2 prevede cinque principali tipologie di lavoro, tutte richiedenti un rapporto scritto da parte dell’esperto:

  1. la valutazione;
  2. il parere valutativo (che richiede all’esperto soltanto una parte del processo valutativo, ad esempio perché è richiesto un contributo tecnico specifico, o perché è previsto un mero aggiornamento dei dati);
  3. il parere di congruità (che si sostanzia in un giudizio sul risultato raggiunto da un altro esperto: è un lavoro “a ritroso”, che partendo dal risultato finale tende a dimostrare che quest’ultimo si colloca nella fascia di valori ragionevoli);
  4. il calcolo valutativo (che si concretizza in un incarico finalizzato al mero calcolo corretto dei valori, essendo già state fornite delle formule e/o degli input predefiniti);
  5. la revisione del lavoro di un altro esperto (che consiste in un esame critico di una valutazione o di un parere di valutazione redatti da un altro esperto).

Concentrando l’attenzione sulla valutazione, l’OIV precisa che quest’ultima è un “documento che contiene un giudizio sul valore di un’attività (azienda, partecipazione, strumento finanziario, bene reale, immateriale) o una passività fondato su uno svolgimento completo del processo valutativo che si sviluppa attraverso cinque fasi”:

  1. formazione e apprezzamento della base informativa (fase, questa, che non si estende anche al controllo della veridicità dei dati, salvo espresse richieste normative o previsioni del mandato);
  2. applicazione dell’analisi fondamentale (analisi degli elementi distintivi dell’attività, analisi del contesto di mercato, esame degli specifici elementi di valore, individuazione dei possibili fattori di rischio e dei loro effetti);
  3. selezione della metodologia o delle metodologie di stima ritenute più idonee;
  4. apprezzamento dei principali fattori di rischio;
  5. costruzione di una razionale sintesi valutativa.

L’esperto deve inoltre precisare nella sua valutazione la configurazione di valore prescelta, tenendo conto, soprattutto, delle finalità della valutazione stessa.

Il PIV I.6.2 richiama le seguenti configurazioni di valore:

  1. valore di mercato (prezzo al quale un’attività o una passività potrebbe essere negoziata tra soggetti indipendenti di mercato);
  2. valore d’investimento (benefici che offre un’attività reale o finanziaria al soggetto che la detiene per finalità di investimento);
  3. valore negoziale equitativo (è il prezzo al quale un’attività può essere negoziata tra due soggetti indipendenti, bilanciando in modo equo i loro interessi. Differisce pertanto dal valore di mercato perché tiene conto anche degli specifici vantaggi/svantaggi tra le due parti individuate);
  4. valore convenzionale (è il valore che discende dall’applicazione di specifici criteri fissati dalla legge, da regolamenti, dai principi contabili o dai contratti);
  5. valore di smobilizzo (rappresenta il prezzo ritenuto fattibile a seguito della chiusura del ciclo di investimento);
  6. valore intrinseco (questa configurazione di valore è prevista esclusivamente per le aziende, ed “esprime l’apprezzamento che un qualsiasi soggetto razionale operante sul mercato senza vincoli e in condizioni di trasparenza informativa dovrebbe esprimere alla data di riferimento, in funzione dei benefici offerti dall’attività medesima e dei relativi rischi”).

È inoltre necessario aggiungere che la valutazione di un’entità aziendale può avvenire in base a due diversi presupposti: la continuità della gestione oppure la prospettiva di liquidazione.

Nello specifico caso della valutazione d’azienda, tenendo conto dei presupposti (continuità o liquidazione), è quindi lasciato all’esperto il compito di scegliere tra una o più delle seguenti metodiche di valutazione:

  1. valutazioni di tipo patrimoniale (grazie alle quali il valore dell’azienda è dato dalla somma dei valori delle singole attività e passività aziendali);
  2. valutazioni reddituali (le quali si basano sull’attualizzazione dei flussi di reddito futuri attesi);
  3. valutazioni che esplicitano la creazione di valore (le quali possono essere ricomprese tra le valutazioni reddituali, a differenza delle quali, però, esplicitano il valore creato rispetto ai mezzi investiti nell’azienda. Rientra in questa metodica il metodo misto patrimoniale reddituale);
  4. valutazioni di tipo finanziario (le quali sono basate sull’attualizzazione dei flussi finanziari futuri attesi);
  5. valutazioni comparative di mercato (le quali si basano sull’applicazione a grandezze aziendali rilevanti di specifici moltiplicatori, ricavati dalle capitalizzazioni di Borsa di società quotate confrontabili).

Metodi e criticità della valutazione d’azienda