20 Luglio 2023

Le quote di fondi di investimento e la disciplina delle società di comodo

di Stefano Rossetti
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La scheda di FISCOPRATICO

La disciplina delle società di comodo, come disciplinata dall’articolo 30 L. 724/1994, ha la finalità di contrastare il ricorso alle c.d. società senza impresa.

In altre parole, la ratio della norma risiede nel disincentivare lo schermo societario per separare i beni, non impiegati in un’attività d’impresa, e il relativo utilizzatore “reale”.

La disciplina, che nel corso degli anni ha subito diverse modifiche, è strutturata su due livelli:

  • effettuazione del test di operatività, ed in caso di mancato superamento,
  • calcolo del reddito minimo.

Dapprima il contribuente deve effettuare il test di operatività. In caso di superamento la società è considerata operativa e determinerà il reddito secondo le modalità ordinarie, mentre, in caso di mancato superamento, il reddito deve imponibile sarà pari al maggiore tra:

  • il reddito calcolato secondo i criteri analitici;
  • il reddito determinato sulla base dei criteri forfettari ex articolo 30 L. 724/1994.

Il test di operatività consiste nel confrontare:

  • i ricavi medi dell’ultimo triennio;
  • i ricavi presunti, calcolati applicando dei coefficienti di redditività al costo storico medio triennale di alcuni assets.

La logica sottesa a tale test è quella secondo cui se i beni venissero impiegati nell’ambito di un’attività economica dovrebbero concorrere alla formazione dei ricavi.

L’articolo 30, comma 1, L. 724/1994 prevede l’applicazione del:

  • 2 per cento al valore dei beni indicati nell’articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), Tuir e delle quote di partecipazione nelle società commerciali di cui all’articolo 5 Tuir, anche se i predetti beni e partecipazioni costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti;
  • il 6 per cento al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nell’articolo 8-bis, primo comma, lettera a), Tuir, anche in locazione finanziaria; per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10, la predetta percentuale è ridotta al 5 per cento; per gli immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei due precedenti, la percentuale è ulteriormente ridotta al 4 per cento; per tutti gli immobili situati in comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la percentuale è dell’1 per cento;
  • il 15 per cento al valore delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziaria.

Nell’ambito del calcolo dei ricavi presunti, ci si è chiesto quale percentuale di redditività debba essere applicata alle quote di fondi d’investimento mobiliare.

Sotto un profilo strettamente tecnico, le quote di fondi:

  • non possono essere considerati titoli assimilati alle azioni (articolo 85, comma 1, lett. c, Tuir), infatti la categoria degli strumenti finanziari assimilati alle partecipazioni sociali, introdotta nel nostro ordinamento tributario dal D.Lgs. 344/2003 si è resa necessaria per adeguare le disposizioni tributarie alle novità recate, in ambito civilistico, dal D.Lgs. 6/2003 che, sovvertendo la tradizionale distinzione tra “strumenti partecipativi” e “strumenti di debito”, da un lato, ha concesso la possibilità di “personalizzare” gli strumenti finanziari esistenti e, dall’altro, ha introdotto nuove figure di strumenti finanziari;
  • non rientrano tra le obbligazioni e gli altri titoli in serie o di massa (articolo 85, comma 1, lett. c, Tuir).

Pertanto, non trovando applicazione la percentuale di redditività del 2%, a stretto rigore, dovrebbe applicarsi la percentuale residuale del 15%.

Tuttavia, in considerazione del fatto che il fondo non rappresenta altro che un veicolo destinato a raccogliere investimenti necessari per l’acquisizione di partecipazioni societarie, non sarebbe logico discriminare chi acquisisce:

  • direttamente la partecipazione. A coloro, nell’ambito del test di operatività verrebbe applicata la percentuale di redditività pari al 2;
  • indirettamente la partecipazione, ovvero per il tramite del fondo d’investimento. Infatti, come detto in questo caso dovrebbe essere applicato il 15 per cento nell’ambito del test di operatività.

Questa rappresenta una discriminazione che non trova giustificazioni, infatti ha il solo effetto di attribuire un trattamento diverso in ragione dello strumento giuridico attraverso il quale l’investimento viene effettuato e non in base al tipo di investimento.

Sul punto, però, l’Amministrazione finanziaria non è di questo avviso.

Con la risposta ad istanza d’interpello 636/E/2020, l’Agenzia delle Entrate:

  • dopo aver premesso che
  • la voce «altre immobilizzazioni» di cui alla lettera c) del citato comma 1 avesse e continui ad avere (come si dirà) natura residuale attraendo a sé tutti gli asset (anche finanziari) iscritti tra le immobilizzazioni non riconducibili alle lettere a) e b) dello stesso comma 1”;
  • l’ampliamento dei beni inclusi nella lettera a) del comma 1 del menzionato articolo 30 non esclude che possano comunque residuare asset (finanziari) non riconducibili a quelli sopra indicati, i quali, laddove risultino iscritti in bilancio tra le immobilizzazioni, vanno pertanto compresi nella voce residuale «altre immobilizzazioni»”;
  • ha concluso che le quote di fondi debbano essere “ricondotte alla voce «altre immobilizzazioni» dell’articolo 30, comma 1, lettera c), della L. n. 724 del 1994 ai fini della disciplina delle società c.d. non operative, e che, conseguentemente, nei loro confronti trovi applicazione la relativa percentuale del 15% ai fini della determinazione dei ricavi (minimi) presunti per l’effettuazione del c.d. test di operatività”.