27 Marzo 2018

La gestione del commercio elettronico indiretto

di Leonardo Pietrobon
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Il commercio elettronico “indiretto”, ai fini Iva, rappresenta una cessione di beni. In particolare, tale tipologia di commercio, a differenza del commercio elettronico diretto, è assimilato alle vendite per corrispondenza, di conseguenza, ai fini della fatturazione vale la regola stabilita dall’articolo 22, comma 1, n. 1) D.P.R. 633/1972, secondo cui, l’emissione della fattura non è obbligatoria, se non è richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione

Dal punto di vista pratico, ai fini Iva vengono applicate le relative norme interne, comunitarie e internazionali, in quanto, come accennato, trattasi a tutti gli effetti di una vera e propria cessione di beni, equiparabile a quella “classica”, in cui sussiste il contatto diretto tra cedente e cessionario.

Oltre alle disposizioni di cui all’articolo 22 D.P.R. 633/1972, per il commercio elettronico trovano applicazione anche le disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettera oo) D.P.R. 696/1996, secondo cui per tali operazioni, qualificabili ai fini Iva come interne, non sussiste nemmeno obbligo di emettere ricevuta/scontrino fiscale, per quanto concerne le operazioni interne.

Sebbene, come abbiamo appena visto, non sussista l’obbligo di fatturazione (se non dietro espressa richiesta del cliente stesso), ciò non rende del tutto esenti da adempimenti i soggetti cedenti. Infatti, rimane ferma:

  1. l’annotazione dell’operazione di vendita sul registro dei corrispettivi;
  2. l’istituzione, insieme al registro dei corrispettivi, del registro delle fatture emesse di cui all’articolo 23 D.P.R. 633/1972 nel caso in cui sia stata emessa fattura;
  3. l’obbligo di accompagnare la merce venduta con documento di trasporto (DDT).

Come evidenziato dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione 274/E/2009, seppur non sussista obbligo di fatturazione, chi esercita l’attività di vendita di beni online deve tener conto della possibilità che il contribuente restituisca la merce ricevuta (c.d. resi). Mancando la fattura, il venditore non può emettere la nota di variazione (articolo 26 D.P.R. 633/1972) poiché manca la fattura di riferimento da rettificare. In tale ipotesi, secondo quanto indicato in tale documento di prassi, per poter procedere con il “recupero” dell’Iva derivante dal reso del bene ceduto mediante commercio elettronico indiretto, il soggetto cedente deve fornire la documentazione che consenta di individuare gli elementi necessari a correlare la restituzione al medesimo bene risultante dal documento – che la società è tenuta a conservare – probante l’acquisto originario, quali:

  • le generalità del soggetto acquirente;
  • l’ammontare del prezzo rimborsato;
  • il “codice” dell’articolo oggetto di restituzione;
  • il “codice di reso” (quest’ultimo deve essere riportato su ogni documento emesso per certificare il rimborso).

Tuttavia, sotto il profilo operativo, la nota di variazione può essere emessa solo a fronte di cessione di beni per le quali si stata emessa la fattura; mentre per le operazioni soggette al rilascio dello scontrino/ricevuta fiscale è necessario rinviare alle disposizioni di cui all’articolo 12 D.M. 23.03.1983, che prevede, tra l’altro, l’indicazione nello scontrino fiscale di “eventuali rimborsi per restituzione di vendite o imballaggi cauzionati” (risoluzione 86/E/2007).

La stessa Agenzia delle entrate, con la risoluzione 219/E/2003, ha chiarito che oltre agli adempimenti Iva è necessario che dalle risultanze delle scritture ausiliare di magazzino, correttamente tenute, sia possibile verificare la movimentazione fisica del bene reinserito nel circuito di vendita.

Quanto detto fin qui vale per le vendite che avvengono tra cedente italiano e cessionario italiano (sia B2B sia B2C), ma non nell’ipotesi di cessionari non nazionali.

Infatti:

  1. nel caso di vendita di beni Intra UE a soggetti privati, sussiste l’obbligo di emettere fattura con regole differenziate a seconda di specifiche condizioni normativamente previste. Infatti, le vendite scontano l’Iva in Italia a condizione che:
  • i beni siano spediti o trasportati dal cedente o per suo conto nel territorio di un altro Stato membro;
  • l’importo annuo delle vendite nello Stato membro di destino, nell’anno precedente e nell’anno in corso, non sia superiore ad euro 100.000, o al minor ammontare stabilito in ogni Stato membro di destinazione, secondo la Direttiva 2006/112/CE. Le cessioni sono, invece, non imponibili Iva se nell’anno solare precedente risultino superiori ad euro 100.000 ovvero all’eventuale minor ammontare stabilito dallo Stato membro e che il trasporto/spedizione dei beni sia curato dal cedente;
  1. nel caso in cui, infine, la cessione on line sia effettuata nei confronti di soggetti Extra Ue, l’operazione si configura come una normale cessione all’esportazione, pertanto il cedente emetterà fattura non imponibile ex articolo 8 D.P.R. 633/1972.
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