21 Ottobre 2016

L’IVA nel commercio elettronico indiretto con clienti di altri Paesi

di Marco Peirolo
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Nelle operazioni di commercio elettronico indiretto, cioè con consegna materiale dei beni al cliente, ricorre spesso l’ipotesi in cui l’impresa italiana acquista i beni dal fornitore di altro Paese UE che, a sua volta, provvede alla spedizione al cliente (privato consumatore) dell’impresa nazionale. Nello schema indicato, i beni sono esistenti nel Paese UE del fornitore al momento della partenza a destinazione del cliente finale.

È utile, pertanto, esaminare gli obblighi IVA che l’operatore italiano deve adempiere per quanto riguarda sia l’acquisto dei beni dal fornitore non residente che la loro vendita al cliente finale, distinguendo a seconda che quest’ultimo sia residente in Italia, nello stesso Paese UE del fornitore oppure in altro Paese (UE o extra-UE).

Se i beni sono spediti in Italia a cura del fornitore UE, l’impresa italiana effettua, allo stesso tempo, un acquisto intracomunitario, imponibile IVA ai sensi dell’articolo 38 del D.L. n. 331/1993, e una cessione interna, soggetta a IVA. Tale conclusione è confermata dalla posizione espressa dalla Corte di giustizia nelle sentenze EMAG Handel Eder (causa C-245/04 del 6 aprile 2006), Euro Tyre Holding (causa C-430/09 del 16 dicembre 2010) e VSTR (causa C-587/10 del 27 dicembre 2012).

La natura intracomunitaria della prima operazione, posta in essere dal fornitore UE nei confronti dell’impresa italiana, discende dall’articolo 38, comma 2, del D.L. n. 331/1993, che definisce gli acquisti intracomunitari come “le acquisizioni, derivanti da atti a titolo oneroso, della proprietà di beni o di altro titolo reale di godimento sugli stessi, spediti o trasportati nel territorio dello Stato da altro Stato membro dal cedente, nella qualità di soggetto passivo d’imposta, ovvero dall’acquirente o da terzi per loro conto”. Conseguentemente, a prescindere dalla circostanza che la spedizione dei beni in Italia sia curata dal fornitore UE o dall’impresa nazionale, ovvero da un terzo per loro conto, l’operazione dà luogo ad un acquisto intracomunitario in Italia, ivi soggetto ad imposta, mentre la cessione al cliente finale italiano non può che assumere natura interna ed essere, quindi, imponibile ai fini IVA.

Se i beni sono consegnati nello stesso Paese UE del fornitore, entrambe le cessioni sono ivi soggette ad imposta in quanto soddisfano il presupposto territoriale di cui all’articolo 31 della Direttiva n. 2006/112/CE, corrispondente all’articolo 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972.

Nella situazione considerata, l’impresa italiana deve aprire una posizione IVA in tale Paese al fine di assoggettare ad imposta la cessione al cliente finale. Il fornitore UE, pertanto, emetterà fattura all’impresa italiana – posizione IVA locale, la cui imposta sarà compensata con quella dovuta sulla cessione al cliente finale. Del resto, il rimborso dell’IVA addebitata dal fornitore UE non può essere chiesto dall’impresa italiana secondo la procedura di cui all’articolo 38-bis1 del D.P.R. n. 633/1972, vale a dire con istanza trasmessa all’Autorità fiscale estera per il tramite del Centro operativo di Pescara, in considerazione della cessione interna al Paese di rimborso, posta in essere nei confronti del cliente finale, privato consumatore.

Se i beni sono spediti in altro Paese UE, diverso da quello del fornitore e dell’impresa italiana, valgono le indicazioni che precedono in ordine all’emissione della fattura con IVA da parte del fornitore UE, mentre la cessione effettuata dall’impresa italiana può essere, alternativamente, interna al Paese del fornitore oppure interna al Paese del cliente finale a seconda che il volume annuo delle vendite effettuate nel Paese di destinazione sia, rispettivamente, inferiore o superiore a 100.000 euro o alla minore soglia annua stabilita da tale Paese ai sensi dell’articolo 34 della Direttiva n. 2006/112/CE.

Ciò significa che, previa verifica della legislazione del Paese del fornitore, l’apertura di una posizione IVA in tale Paese da parte dell’impresa italiana dovrebbe essere necessaria solo in caso di vendite “sotto-soglia”; in caso, invece, di vendite “sopra-soglia”, la posizione IVA deve essere necessariamente aperta nel Paese del cliente finale, al fine di rendere imponibile l’operazione e adempiere agli ulteriori obblighi previsti dalla legislazione locale.

Alla luce delle considerazioni precedentemente formulate, il rimborso “diretto” dell’IVA addebitata dal fornitore UE può essere chiesto all’Autorità fiscale estera per il tramite del Centro operativo di Pescara nella sola ipotesi in cui il volume anno delle vendite verso il Paese di destinazione finale dei beni, effettuato dall’impresa italiana, sia “sopra-soglia”.

Infine, se i beni sono spediti al di fuori della UE, la prima cessione beneficia dell’esenzione prevista, per le esportazioni, dall’articolo 146 della Direttiva n. 2006/112/CE, mentre la cessione effettuata dall’impresa italiana nei confronti del cliente finale extracomunitario, esente anch’essa in base alla stessa norma, richiede l’apertura della posizione IVA nel Paese del fornitore, previa verifica della legislazione locale.

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