20 Febbraio 2016

Inadempimento contrattuale e note di variazione IVA

di Comitato di redazione
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L’articolo 26 del DPR 633/1972 contempla due diverse tipologie di situazioni che consentono il recupero dell’imposta addebitata in fattura:

  • casistiche che comportano il venir meno del contratto (risoluzioni, rescissioni, dichiarazioni di nullità, ecc.);
  • casistiche in cui il contratto permane con tutti i suoi effetti giuridici, ma il rapporto fra le parti viene ad essere squilibrato a causa dell’inadempimento del cessionario o del committente.

Il nuovo comma 9 della citata norma, come modificata dalla Legge 208/2015, prevede che, “nel caso di risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento, la facoltà di cui al comma 2 non si estende a quelle cessioni e a quelle prestazioni per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni”.

Negli incontri del Master Breve della 5^ giornata, dedicata appunto alla tematica dell’IVA, abbiamo avuto modo di illustrare questa disposizione e di verificarne l’applicabilità ai contratti che più frequentemente utilizzano i clienti di studio ed anche i professionisti.

In primo luogo dobbiamo precisare che, nonostante la formulazione lessicale non brillantissima, il legislatore intende concedere – sia pure in alcune casistiche ben individuate – la possibilità di emettere la nota di accredito (per il recupero dell’IVA a suo tempo già posta a debito nella liquidazione) con modalità semplificate rispetto a quelle ordinarie.

Tuttavia, affinché scatti l’applicazione della nuova previsione, è previsto che:

  • vi sia una risoluzione contrattuale;
  • tale risoluzione sia connessa ad un contratto ad esecuzione continuata o periodica.

Cominciamo proprio da tale ultima condizione, per cercare di circoscrivere le casistiche di interesse.

Il contratto ad esecuzione continuata o periodica (talvolta denominato anche contratto di durata) è quello i cui effetti si prolungano nel tempo.

In particolare:

  • è contratto ad esecuzione continuata quello i cui effetti si prolungano nel tempo, in forza della promessa di una prestazione unica ed ininterrotta. Si pensi, ad esempio, al contratto di locazione, poiché l’immobile viene lasciato continuativamente nella disponibilità del conduttore;
  • è contrato ad esecuzione periodica quello con il quale  si promettono più prestazioni in un dato arco temporale, secondo scadenze predefinite, oppure su richiesta della controparte.

E’ chiaro che, per potersi collocare in tale area (tipica dei c.d. contratti di fornitura), bisogna talvolta verificare in modo preciso quali siano gli accordi assunti dalle parti; ad esempio, se una azienda si avvale di un trasportatore per la consegna dei propri prodotti, si potrebbe essere dinnanzi a più contratti ad esecuzione istantanea reiterati nel tempo tra le stesse parti, piuttosto che ad un contratto ad esecuzione periodica, mediante il quale il trasportatore si impegna a ritirare e consegnare la merce ogni volta che, in un certo lasso temporale, il cliente lo contatti.

Proprio in tali tipologie di contratti si ricorre spesso alla introduzione di clausole risolutive espresse che determinano, in subordine all’inadempimento di una delle due parti, il venir meno del contratto nello stesso momento in cui la parte lesa dichiari di volersi avvalere della clausola stessa. Ad analogo risultato si può pervenire, ovviamente, anche per effetto di una pronuncia del giudice, previo accertamento dell’inadempimento.

La innovativa disposizione, come osservato da Assonime nella circolare 5/2016 “ammette, dunque, la possibilità di recuperare l’imposta per i corrispettivi non pagati relativi a forniture di beni o servizi nell’ambito di contratti ad esecuzione continuata o periodica nei casi in cui la risoluzione conseguente all’inadempimento abbia effetto retroattivo a partire dalle forniture per le quali non è stato pagato il corrispettivo nonostante che il cedente o prestatore abbia correttamente adempiuto al proprio obbligo di consegnare i beni o rendere i servizi pattuiti”. Secondo il parere dell’Associazione, inoltre, tale lettura non è ostacolata nemmeno dal disposto dell’art. 1458 del c.c., ove si intenderebbe salvaguardare le prestazioni già eseguite. Pertanto, la nuova disposizione:

  • travolge le forniture per le quali si è verificato l’inadempimento;
  • lascia inalterate quelle per le quali il cessionario ha regolarmente adempiuto all’obbligo di pagamento del prezzo.

Per quanto sopra detto, si crede che la nuova disposizione possa essere (all’atto pratico) difficilmente applicata a contratti ad effetti continuativi come quelli di elaborazione contabile, per la semplice circostanza che solitamente non viene inserita negli stessi la clausola risolutiva espressa.

Diversamente, la disposizione si adatta in modo perfetto al contratto di locazione, all’interno del quale solitamente viene inserita la clausola risolutiva espressa.

In definitiva, ci pare di poter affermare che la nuova procedura si renda utile nelle ipotesi in cui sussiste un “distacco” tra le parti in causa, circostanza che solitamente non si riscontra nel rapporto con il cliente di studio.