24 Gennaio 2024

Il termine di decadenza dell’accertamento sull’indebita compensazione

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

Sovente accade che il contribuente chieda il rimborso dell’Iva esposta nella dichiarazione di un determinato anno di imposta e che l’amministrazione finanziaria richieda la documentazione contabile relativa all’anno in questione, onde verificare la legittimità del rimborso.

È noto, infatti, come, da un lato, i soggetti passivi Iva possano chiedere il rimborso dell’eccedenza detraibile d’imposta risultante dalla dichiarazione annuale Iva, ai sensi dell’articolo 38-bis, comma 1, D.P.R. 633/1972, in presenza delle condizioni previste dall’articolo 30, D.P.R. 633/1972, e, dall’altro, l’Agenzia fiscale emetta provvedimento di diniego, ogni qualvolta non vi sia prova dell’esistenza del credito chiesto a rimborso.

In caso di contenzioso a seguito di impugnazione del diniego di rimborso, una delle questioni maggiormente affrontate dalla giurisprudenza di legittimità, è quella concernente la possibilità o meno dell’Amministrazione finanziaria di contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione Iva di un determinato anno di imposta, anche oltre la scadenza del termine di decadenza dell’accertamento.

Sul punto, le Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza n. 5069/2016), hanno affermato che: “In tema di rimborso d’imposte, l’amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum”.

Siffatto principio, successivamente, è stato ribadito, sempre dalle Sezioni Unite (sentenza n. 21765/2021), laddove, in motivazione, dopo averlo richiamato e fatto proprio, esse hanno ulteriormente precisato che: il credito che nasca (…) dal coacervo delle poste detraibili che prevalgano sul debito, e che quindi eccedano l’imposta liquidata, esiste in quanto ne sussistano i fatti generatori, sicché non è sufficiente che sia esposto in dichiarazione, né è necessario che sia accertato dall’amministrazione finanziaria.

Detto in altri termini, incombe sul contribuente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito e, a tal fine, non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo (Cassazione n. 27580/2018).

Al riguardo, è stato altresì precisato che, ai fini sopra indicati, il contribuente non può limitarsi ad addurre il furto della documentazione contabile, senza attivarsi per la ricostruzione e “a fortiori” per la produzione della stessa, in quanto l’inottemperanza all’onere probatorio finisce per legittimare il provvedimento di diniego (Cassazione n. 34440/2023).

Quindi, deve ritenersi ormai pacifico che l’Amministrazione finanziaria possa contestare il credito Iva esposto dal contribuente in dichiarazione, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, in quanto tali termini di decadenza operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti.

Sotto il profilo processuale, poi, è d’uopo precisare che, nella ipotesi in cui il contribuente impugni il diniego di rimborso e l’amministrazione finanziaria prospetti la questione del non avere questi provato l’esistenza del credito Iva chiesto a rimborso, il giudice tributario non potrà fare altro che rilevare il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante in capo al contribuente, laddove non abbia presentato la documentazione contabile espressamente richiesta dall’Ufficio.

Al riguardo, è stato altresì precisato che l’inammissibilità dell’istanza di rimborso per tardività, ancorché rappresenti l’unica esplicitazione nel dispositivo del provvedimento di diniego, non offusca il rilievo, laddove svolto in motivazione, dell’inottemperanza all’onere probatorio: tale rilievo, quand’anche compresso nella prospettazione dell’agenzia fiscale, non può essere ritenuto superato dal vizio originario dell’inammissibilità, specie se correttamente coltivato in giudizio (ordinanza n. 34440/2023).

Peraltro, secondo costante giurisprudenza, nelle liti originate dalla negazione del credito chiesto a rimborso, è sempre consentito all’Amministrazione prospettare in giudizio finanche argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle espresse nella motivazione del provvedimento negativo (Cassazione n. 18427/2012 e Cassazione n. 22567/2004).

In definitiva, quindi, il Giudice tributario, in una siffatta ipotesi, è tenuto ad addentrarsi nel merito della controversia, affrontando il tema della esistenza, legittimità e quantificazione del credito azionato, in quanto propriamente controverso tra le parti in causa.