3 Giugno 2024

Forma degli atti del processo con insidie per il contribuente

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

Con la recente riforma del processo tributario ad opera del D.Lgs. 220/2023, nell’impianto normativo contenuto nel D.Lgs. 546/1992, è stato introdotto l’articolo 17-ter, rubricato “Degli atti in generale”.

La disposizione citata, che contiene le regole attinenti alle modalità di redazione degli atti del processo tributario e alle conseguenze processuali derivanti dalla violazione degli obblighi di utilizzo delle modalità telematiche, trova applicazione ai giudizi instaurati, di primo e secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1.9.2024.

Nello specifico, l’articolo 17-ter, D.Lgs. 546/1992, stabilisce che gli atti del processo, i verbali e i provvedimenti giurisdizionali, siano redatti in modo chiaro e sintetico.

Secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa al D.Lgs. 220/2023, tale modifica è finalizzata alla completa “digitalizzazione” del processo tributario introducendo, quali principi generali, per la prima volta, i principi di chiarezza e sinteticità degli atti di parte, in modo speculare a quanto già previsto per il processo civile dall’articolo 121 c.p.c.

Al riguardo, deve ritenersi innanzitutto che quest’ultima disposizione (articolo 121 c.p.c.) non trova applicazione al processo tributario, vista l’introduzione di una disciplina ad hoc nel citato articolo 17-ter.

Ne consegue che il regolamento contenente i criteri di redazione, i limiti dimensionali e gli schemi informatici degli atti giudiziari (cfr., Ministero della Giustizia, decreto n. 110 del 7.8.2023), applicabile ai procedimenti civili introdotti dopo il 1.9.2023, non assume alcuna rilevanza per il rito tributario.

Ciò detto, quanto alla disciplina speciale recentemente prevista per il processo tributario, si ritiene che l’affermazione dei principi di chiarezza e sinteticità degli atti di parte non sia comunque idonea a limitare la libertà del difensore nella redazione degli scritti difensivi, fermo restando che comunque mancano precise indicazioni normative o regolamentari sui limiti dimensionali massimi.

Pertanto, questi non soffrirà alcun vincolo in termini di modalità o lunghezza, potendo sempre parametrarli al caso concreto, tanto è vero che l’eventuale difformità rispetto ai nuovi canoni redazionali non è in alcun modo sanzionata in termini di invalidità dell’atto.

Inoltre, è d’uopo rammentare che il processo tributario è notoriamente un rito votato alla trattazione scritta, per cui un’eventuale limitazione della stessa con relativa sanzione apparirebbe quantomeno irrazionale rispetto ai principi cardine cui il processo tributario è informato.

Proseguendo oltre, l’articolo 17-ter, D.Lgs. 546/1992, stabilisce che, salvo i casi eccezionali di cui all’articolo 79, comma 2-quater, del D.Lgs. 546/1992, tutti gli atti e i provvedimenti del giudice tributario, dei suoi ausiliari e quelli delle segreterie delle corti di giustizia tributaria, nonché gli atti delle parti e dei difensori sono sottoscritti con firma digitale.

Quanto alle conseguenze processuali derivanti dalla violazione degli obblighi di utilizzo delle modalità telematiche, è stabilito che nella liquidazione delle spese di giudizio si debba in ogni caso tenere conto della violazione ad opera dei difensori delle parti dell’obbligo di sottoscrizione degli atti con firma digitale e delle norme tecniche del processo tributario telematico.

Analogamente, all’articolo 15, comma 2-nonies, D.Lgs. 546/1992, è stabilito che nella liquidazione delle spese si tenga altresì conto del rispetto dei principi di sinteticità e chiarezza degli atti di parte.

Quindi, appare evidente come il legislatore abbia utilizzato la violazione di tali principi quale “nuovo” criterio di liquidazione delle spese processuali. E già questo sarebbe sufficiente per avere più di qualche dubbio sulla modifica in esame.

A ciò si aggiunga che il legislatore, in modo del tutto irrazionale, ha previsto l’utilizzabilità di tale nuovo criterio nell’ambito di giudizi, rispetto ai quali non può ancora trovare applicazione la norma (ovvero, l’articolo 17-ter, D.Lgs. 546/1992) che introduce i nuovi criteri redazionali di sinteticità e chiarezza.

La conseguenza di quanto appena rilevato è che le parti, al fine di scongiurare un’eventuale condanna alle spese, sono chiamate ad uniformare gli scritti difensivi dei processi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, già a decorrere dallo scorso 5.1.2024 ai nuovi canoni di cui all’articolo 17-ter, D.Lgs. 546/1992, che però trova applicazione ai giudizi instaurati, di primo e secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1.9.2024.

Da ultimo, si rileva che la novella cela un’ulteriore insidia per il contribuente laddove prevede che la mancata sottoscrizione con firma digitale dei provvedimenti giudiziari del giudice tributario determina la loro nullità.

Ciò significa che, nel caso di sentenza non sottoscritta digitalmente favorevole al contribuente, questi avrà l’onere di proporre tempestivamente appello o ricorso per cassazione al fine di far valere tale vizio, altrimenti, trattandosi di inesistenza giuridica della sentenza, si verificherà la circostanza assurda per cui l’atto impugnato si renderà definitivo.

Viceversa, l’amministrazione finanziaria non sarà mai gravata del medesimo onere, poiché la mancata impugnazione della sentenza non sottoscritta digitalmente ad essa favorevole, comporterà comunque la definitività dell’atto. L’unica rinuncia potrebbe essere quella alle eventuali spese di giudizio.