29 Settembre 2017

Il Fisco non può contestare la strategia commerciale dell’impresa

di Angelo Ginex
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Nel dichiarare la non inerenza delle operazioni manifestamente antieconomiche che determinano costi del tutto sproporzionati rispetto ai ricavi dell’impresa, l’attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria non può spingersi sino ad operare valutazioni di strategia commerciale riservate all’imprenditore. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 21405 del 15 settembre 2017.

La vicenda trae origine dalla notifica ad una società facente parte di un gruppo di un avviso di accertamento, a mezzo del quale l’Amministrazione finanziaria negava la deduzione dei costi relativi ad un contratto di marketing e pubblicità, rideterminava la perdita di esercizio e rettificava la dichiarazione Iva, in quanto riteneva sproporzionato il corrispettivo rivisto al rialzo con un secondo contratto.

In particolare, l’Amministrazione finanziaria riteneva che l’assunzione dei maggiori costi, seppure logicamente ed economicamente giustificabile nell’economia del gruppo, non poteva dar luogo a costi inerenti, in quanto sostenuti per una libera scelta della società in favore di un soggetto che non aveva titolo per pretendere nient’altro che il corrispettivo originariamente pattuito. Così facendo, la società contribuente avrebbe compiuto una scelta antieconomica, discendendone di conseguenza la indeducibilità del costo.

Nella pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ha osservato innanzitutto come la stessa, in numerose pronunce, abbia affermato la non inerenza delle operazioni manifestamente antieconomiche, che determinano costi del tutto sproporzionati rispetto ai ricavi dell’impresa, sulla base del principio di economicità dell’azione imprenditoriale, che dovrebbe ispirare tutti gli atti dell’impresa (cfr., Cass., sentenza n. 793/2004; Cass., sentenza n. 11240/2001).

Ne deriva – hanno osservato i Giudici di Piazza Cavour – che i comportamenti che si pongono in contrasto con le regole del buon senso e dell’id quod plerumque accidit, uniti alla mancanza di una giustificazione razionale (che non sia quella di eludere il precetto tributario), assurgono al rango di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, che legittimano il recupero a tassazione dei relativi costi (cfr., Cass., sentenza n. 23635/2008).

Ciò posto, se è vero che rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo non proporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (tra le altre, Cass. n. 8072 del 2010, n. 9036 del 2013), è altrettanto vero – secondo la Suprema Corte – che un siffatto sindacato non sembra possa spingersi, come postulato dall’Amministrazione finanziaria, sino alla verifica oggettiva circa la necessità, o quantomeno circa la opportunità (sia pure secondo una valutazione condotta con riguardo all’epoca della stipula del contratto) di tali costi rispetto all’oggetto dell’attività. E tanto perché il controllo attingerebbe altrimenti a valutazioni di strategia commerciale riservate all’imprenditore (Cass., sentenza n. 10319/2015)”.

In altri termini, l’Amministrazione finanziaria, così come non ha titolo per interferire nella scelta iniziale della società contribuente (ovvero, censurare la decisione di non cogliere l’opportunità di beneficiare di prestazioni pubblicitarie corrispondendo un compenso minore al prezzo che avrebbe dovuto sostenere operando in prima persona sul mercato), analogamente non ha titolo per sindacare, sic et simpliciter, e cioè senza dedurre elementi ulteriori rilevatori di una finalità estranea alla gestione aziendale, la scelta inversa della società, di riassumere su di sé, al puro costo, gli oneri sostenuti dalla consociata nel suo interesse.

In definitiva, deve quindi ritenersi che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non possa spingersi fino al punto di sindacare scelte di questo tipo, che riflettono “valutazioni di strategia commerciale riservate all’imprenditore”.

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